28 ottobre 2016 09:36

In confronto a Raqqa, Mosul è un gioco da ragazzi. L’offensiva contro Mosul, roccaforte del gruppo Stato islamico (Is) in Iraq, sarà lunga e difficile, perché i jihadisti hanno minato ogni metro quadro della città e tengono in ostaggio una popolazione di un milione e mezzo di abitanti.

Ma la liberazione del centro abitato dipende ormai dallo scontro strada per strada, e quantomeno non pone reali problemi politici perché l’Iraq ha un governo che conduce questa offensiva coordinandosi con la coalizione arabo-occidentale guidata dagli Stati Uniti. Invece per quanto riguarda Raqqa, roccaforte dell’Is in Siria, le cose sono molto più complicate.

Bisogna assolutamente liberare anche questa città, in modo che i jihadisti cacciati da Mosul non possano raggiungerla per serrare i ranghi. Bisogna liberare entrambe le città allo stesso tempo o quasi, ma a Raqqa il rompicapo non è solo militare.

Le pretese della Turchia
Il problema è prima di tutto politico e diplomatico, perché il regime siriano è solo uno degli attori della guerra che devasta il paese, perché forze che cercano di liberare Raqqa non combattono unicamente l’Is ma anche il regime di Assad e perché ci sono tre eserciti stranieri presenti in Siria, nel cielo o sul campo: quello russo, quello turco e quello della coalizione arabo-occidentale.

Partiamo dalla Turchia. Ankara è intervenuta in Siria perché teme l’emergere di un Kurdistan siriano indipendente, la cui forza di attrazione potrebbe presto risvegliare l’irredentismo dei curdi turchi. In Siria la Turchia combatte l’Is ma soprattutto i curdi siriani, e vuole ricoprire un ruolo di primo piano nella liberazione di Raqqa per evitare che siano i curdi siriani a farlo, assicurandosi il controllo della zona che fiancheggia l’Anatolia, territorio turco ma popolato dai curdi.

Mosca non può permettere ai ribelli siriani di liberare Raqqa, perché questo smentirebbe la sua tesi secondo cui i jihadisti e i ribelli sono la stessa cosa

Dal canto suo la coalizione non vuole intervenire sul campo, perché gli americani non intendono riportare indietro soldati morti dal Medio Oriente. Washington ha inviato i suoi consulenti militari nella zona di Raqqa, ma non ha intenzione di fare niente di più e dovrà dunque fare affidamento sulle forze locali, ovvero quasi esclusivamente sui curdi siriani. Ma la Turchia è membro della Nato e un alleato degli Stati Uniti, che non vorrebbero mai spingerla tra le braccia della Russia. Gli americani devono gestire Ankara e allo stesso tempo armare i suoi nemici, i curdi siriani.

La Russia, infine, è alle prese con un dilemma. Da un lato non può opporsi alla liberazione della roccaforte siriana dei jihadisti, perché questo significherebbe, nei fatti, schierarsi con l’Is. Non è una posizione sostenibile, ma d’altro canto Mosca non può permettere che a liberare Raqqa siano i ribelli siriani, perché questo smentirebbe la sua tesi secondo cui i jiadisti e i ribelli sono la stessa cosa e per questo bisogna sostenere a tutti i costi il regime siriano.

L’offensiva si avvicina, e in questo momento il mal di testa dei russi è ancora più forte di quello degli statunitensi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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