22 novembre 2016 09:36

Che sia fondata o meno, la sensazione è che la Francia sarà sempre fuori fase. All’inizio degli anni ottanta il paese di François Mitterrand aveva optato per le nazionalizzazioni e l’abbassamento dell’età pensionabile mentre il resto del mondo sposava le idee liberiste basate su una minore presenza dello stato e una riduzione dell’assistenza sociale.

Quasi quarant’anni dopo, la situazione si è capovolta. La destra ha buone possibilità di tornare al potere in primavera, e il 21 novembre i suoi principali rappresentanti – François Fillon, Alain Juppé e Nicolas Sarkozy – si sono schierati a favore di una riduzione delle spese pubbliche e del ruolo dello stato, quando nel resto del mondo il vento soffia in direzione opposta.

Negli Stati Uniti il presidente eletto Donald Trump vuole rilanciare l’economia attraverso un programma di investimenti massicci nel rinnovamento delle infrastrutture, e in questa iniziativa riceve l’apprezzamento dei sindacati, dei democratici e del mondo delle imprese. A Bruxelles il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha sponsorizzato un programma di investimenti europei nell’industria del futuro e ha invitato la Germania, con una certa insistenza, a investire per rilanciare l’economia tedesca e quella europea.

Sarebbe meglio investire nella reindustrializzazione per poi ridurre il numero degli statali quando l’occupazione lo permetterà

Il Fondo monetario internazionale continua a chiedere alla Germania e agli Stati Uniti, due motori dell’economia mondiale, di aumentare la spesa pubblica per favorire la crescita e l’impiego, e tanti economisti invitano a seguire questa linea. Eppure in Francia l’orientamento è diverso. Che sia incarnata da François Fillon o da Alain Juppé, la destra che si prepara a prendere i comandi del paese vuole ridurre drasticamente il numero di dipendenti pubblici e dare la priorità al taglio della spesa statale.

In Francia la destra vuole fare quello che in passato non le è riuscito. Non è illogico, ma non è detto che oggi sia necessario seguire una strada solo perché non è stata intrapresa in passato. Il fatto che 35 anni fa Mitterrand abbia irragionevolmente aumentato le spese pubbliche e che nessuno dei suoi successori abbia invertito questa tendenza non significa che oggi sia indispensabile cambiare strada con 500mila statali in meno (per Fillon) o 250mila (per Juppé).

La priorità del rilancio
La destra non ha torto a sostenere che la Francia vive al di sopra dei suoi mezzi da troppo tempo e che nell’epoca in cui c’erano meno dipendenti pubblici non era governata peggio. Sono tesi comprensibili, solide e che non possiamo scartare facilmente. Ma davvero la priorità dev’essere quella di creare migliaia di nuovi disoccupati? Non sarebbe meglio investire nella reindustrializzazione per poi ridurre il numero degli statali quando l’occupazione lo permetterà?

La questione non è esclusivamente economica. È anche politica, perché il taglio della spesa pubblica favorisce l’ascesa dell’estrema destra. Anche in Germania il dibattito si fa sempre più acceso, e la cancelliera Merkel sembra pronta a cambiare orientamento. Oggi la Francia rischia di perdere una nuova occasione, perché in tutto il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, il rilancio sembra avere la priorità su tutto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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