08 dicembre 2016 09:04

A che punto sta? Come si sta comportando il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump a sei settimane dall’inizio della sua presidenza? La domanda è cruciale, perché quello che Time ha appena nominato “uomo dell’anno” guiderà la prima potenza economica e militare del mondo. La risposta, invece, è ancora difficile da dare.

Prima di tutto sembra che Trump non sia stato ancora eletto, perché continua a twittare parlando di vari argomenti. Non si comporta assolutamente come un capo di stato le cui parole devono essere attentamente soppesate per evitare conseguenze sgradite, ma twitta compulsivamente e a tutte le ore, come faceva quando era candidato e le sue raffiche di brevi commenti servivano a presentarlo come l’uomo della rottura, anti-sistema.

Trump è riuscito nel suo intento, ma se continuerà a pensare di essere in campagna elettorale anche quando occuperà lo studio ovale rischia di compromettere la coesione della sua amministrazione e la diplomazia statunitense, a meno che il mondo intero si abitui a non tenere conto dell’umore del presidente degli Stati Uniti e a lavorare più con la sua amministrazione che con lui.

Quando Trump solleva il telefono per chiamare la presidente di Taiwan c’è da chiedersi se davvero sa quello che fa e perché

Non è inimmaginabile, perché quando Donald Trump cercava ancora un vicepresidente sembrava avere intenzione di affidargli il grosso del lavoro per occuparsi soltanto delle pubbliche relazioni e del rapporto diretto con gli elettori.

Tutto è possibile con l’uomo dell’anno, ma quando il presidente eletto solleva il telefono per chiamare la presidente di Taiwan, e quindi della Cina nazionalista con cui gli Stati Uniti non avevano più alcun rapporto diplomatico dopo il riconoscimento della Cina comunista, per di più lanciandosi subito in una serie di critiche verso Pechino (non del tutto infondate) allora possiamo chiederci se davvero sa quello che fa e perché.

Nomine sotto osservazione
Vuole far vedere ai leader cinesi che non ha paura di niente per strappare concessioni commerciali e politiche? Vuole ridistribuire le carte avendo idee chiare in testa oppure vuole fare scena per farsi ulteriormente apprezzare dagli operai le cui fabbriche sono state chiuse a causa del dumping cinese, ma facendo venire i sudori freddi ai grandi esportatori da cui dipende l’economia statunitense? Se lo chiedono anche i suoi collaboratori, e lo stesso fanno i leader stranieri che osservano con estrema attenzione le nomine della squadra di governo.

Trump ha scelto come segretario generale della Casa Bianca un pezzo grosso della macchina repubblicana, e questo rassicura il congresso. Ma allo stesso tempo ha scelto Stephen Bannon come “stratega in capo”, un uomo dell’estrema destra che avrebbe inquietato Attila. Il dipartimento di stato non ha ancora un capo, mentre quello per la difesa è stato affidato al generale James Mattis, detto “cane pazzo”, nemico dell’Iran ma benevolo nei confronti della Russia. Le lobby bancarie ed energetiche sono ben rappresentate in questa squadra, ma non c’è un vero profilo, niente di leggibile. Come se Donald Trump volesse prima di tutto confondere le idee per restare l’unico comandante a bordo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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