06 gennaio 2017 12:30

Forse è ancora presto, e magari sarebbe meglio aspettare per vedere Donald Trump all’opera, piuttosto che provare a dedurre dai suoi tweet le politiche che vuole adottare. Ma il 20 gennaio si avvicina, e allora proviamo a immaginare.

Il 5 gennaio il presidente eletto è ripartito all’attacco. Dopo aver convinto la Ford a non investire più di un miliardo e mezzo di dollari in Messico e aver minacciato la General Motors di tassare i veicoli assemblati fuori dagli Stati Uniti, Trump si è scagliato contro la Toyota.

“La Toyota annuncia la costruzione di una fabbrica in Messico per l’assemblaggio di auto Corolla da vendere negli Stati Uniti. No! Aprite le vostre fabbriche negli Stati Uniti o pagherete una pesante tassa”, ha twittato. Questa presa di posizione piacerà molto agli operai statunitensi e probabilmente anche francesi, nonché a tutti gli avversari della globalizzazione.

Possiamo davvero credere che Trump avrà i mezzi per imporre le sue decisioni alle grandi aziende statunitensi?

La scelta di combattere per difendere i posti di lavoro del proprio paese è encomiabile, ma al di là della Ford (che già aveva forti dubbi sull’apertura della fabbrica in Messico a causa del calo delle vendite), possiamo davvero credere che Trump avrà i mezzi per imporre le sue decisioni ai consigli d’amministrazione delle grandi aziende statunitensi?

A parte il fatto che Trump non avrebbe mai accettato che il suo predecessore assumesse il controllo delle sue società immobiliari, dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti sono il paese della libera impresa. Lo stato non è onnipotente.

Meno stato e meno tasse
Il partito repubblicano, al quale appartiene Donald Trump, è ostile a qualsiasi intervento dello stato nell’economia. Il prossimo presidente americano va dunque contro le sue convinzioni, contro i suoi interessi imprenditoriali e contro tutto quello che il suo paese rappresenta. Un paese che tra l’altro ha firmato un accordo di libero scambio con il Messico e il Canada che gli vieta di imporre il genere di dazi doganali con cui ha minacciato la General Motors e la Toyota.

Donald Trump può rinnegare l’accordo e ha già detto di volerlo fare, ma una scelta di questo tipo colpirebbe gli interessi degli esportatori americani, aumenterebbe il numero di disoccupati messicani che provano a entrare clandestinamente negli Stati Uniti e soprattutto avrebbe bisogno di molto tempo, perché il congresso non si schiererà compatto su una proposta che Messico e Canada non accetteranno passivamente. Come andrà a finire?

Forse Trump sta pensando soltanto alla sua popolarità. Che lo sappia o no, in questo caso il presidente eletto non potrà fare molto più che gesti simbolici senza grandi conseguenze. Oppure, con tutti questi gesti simbolici, si sta preparando a proporre un do ut des alle grandi compagnie americane: in cambio di una frenata alla delocalizzazione, che provocherebbe l’aumento della sua popolarità e probabilmente la sua rielezione, Trump potrebbe offrire una massiccia deregolamentazione e l’abbassamento al 15 per cento della tassa sulle imprese.

Potrebbe funzionare, e a beneficiarne sarebbero anche le società dello stesso Trump. Ma alla fine i lavoratori americani ne uscirebbero vincenti? Non è detto, perché ogni riduzione della presenza dello stato avviene sempre a svantaggio dei più deboli.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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