23 gennaio 2017 09:49

Il negoziato non si svolge a Mosca, ma è comunque Vladimir Putin ad averlo organizzato. La trattativa sulla Siria che si apre oggi ad Astana, capitale del Kazakistan, immenso paese dell’Asia centrale alleato della Russia, era infatti stata annunciata alla fine di dicembre dal presidente russo, sulla scia della resa di Aleppo.

L’obiettivo di Putin è quello di consolidare il cessate il fuoco dichiarato allora, di tracciare a grandi linee un compromesso tra il regime di Damasco e i ribelli, di far validare questo accordo politico da una conferenza internazionale che dovrebbe riunirsi l’8 febbraio a Ginevra, e di diventare il promotore del ritorno della Russia in Medio Oriente e l’artefice di una pace, l’uomo che è riuscito dove gli Stati Uniti e l’Europa avevano fallito.

È un progetto molto ambizioso. Putin può contare su diverse certezze, ma deve fare i conti anche con due grandi debolezze. La sua forza è quella di aver salvato il regime di Assad dal crollo nel settembre 2015 intervenendo nel conflitto e di aver inflitto una pesante sconfitta ai ribelli con i bombardamenti di Aleppo. Per questo oggi il leader russo può permettersi di chiedere concessioni al presidente siriano e di pretenderle da un’insurrezione che non è ancora annientata ma è estremamente indebolita.

Le pressioni della Turchia e dell’Iran
In sostanza Putin è in una posizione migliore di chiunque altro per imporre un compromesso alle due parti. Tuttavia, oltre al fatto che l’insurrezione è divisa e che i curdi e il gruppo Stato islamico (Is), due importanti forze sul campo, non sono rappresentati ad Astana, il presidente russo deve fare i conti con gli alleati turchi e iraniani. Ed è qui che le cose si complicano.

Con l’Iran e la Turchia il presidente russo è in difficoltà, perché i due paesi non hanno gli stessi obiettivi della Russia. Gli iraniani non vogliono un reale compromesso con i ribelli siriani perché vogliono inglobare la Siria nella loro sfera d’influenza regionale e restituire pieni poteri a Bashar al Assad, appartenente a un ramo dello sciismo, mentre i ribelli e oltre il 60 per cento dei siriani sono sunniti. L’Iran sciita vorrebbe una sconfitta totale dei ribelli e dei paesi sunniti che li sostengono, con la riconquista di tutta la Siria da parte di Assad, che potrebbe appoggiarsi a loro per resistere alle pressioni dei russi, per nulla allettati dall’idea di impantanarsi in questo conflitto.

Il presidente russo avrà bisogno dell’appoggio (per nulla impossibile) di Donald Trump

I turchi, sunniti, si sono alleati con i russi e hanno rinunciato all’idea di un’uscita di scena immediata di Assad solo per avere campo libero contro i curdi siriani e impedirgli di proclamare l’indipendenza, nel timore che questo possa fare venire strane idee ai curdi turchi.

Le correnti dell’insurrezione rappresentate ad Astana sono quelle sostenute dalla Turchia, che le ha sostanzialmente costrette a sedersi al tavolo della trattativa. Ma Ankara non potrà obbligare i ribelli ad accettare un compromesso se non ci saranno reali concessioni da parte di Damasco, ma di questo l’Iran e Assad non ne vogliono sapere.

In questo momento Putin può ancora vincere la partita, ma avrà bisogno dell’appoggio (per nulla impossibile) di Donald Trump.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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