24 gennaio 2017 09:52

Nel quarto giorno da presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha ricevuto il 23 gennaio dodici grandi imprenditori statunitensi. Fedele alle promesse fatte in campagna elettorale, Trump li ha rassicurati sulla sua volontà di tagliare “nettamente” le imposte sulle imprese e di cancellare “almeno il 75 per cento” delle regolamentazioni in vigore.

Questo significa che l’imposta sulle imprese potrebbe essere presto portata a quel 15 per cento di cui Trump aveva parlato prima di essere eletto, che i regolamenti bancari introdotti dopo la crisi del 2008 potrebbero essere cancellati e che le misure di protezione dell’ambiente potrebbero essere dimenticate perché “questa roba rende impossibile costruire”, come ha dichiarato ai suoi ospiti l’imprenditore immobiliare Trump.

Questo è il passo più importante intrapreso dal presidente dopo il giuramento del 20 gennaio. Possiamo restare esterrefatti davanti alla leggerezza con cui Trump vuole seppellire l’accordo commerciale transpacifico. Possiamo inorridire davanti alle strizzatine d’occhio che lancia alla destra religiosa vietando qualsiasi finanziamento pubblico alle ong che sostengono l’interruzione di gravidanza. Possiamo indignarci davanti al fatto che il suo primo gesto politico è stato ordinare un rallentamento dell’applicazione dell’Obamacare, la legge con cui il suo predecessore aveva offerto a tutti una copertura sanitaria. Ma per quanto tutto questo sia grave, è soltanto un diversivo rumoroso per distrarre il pubblico dal cuore della sua politica.

Il protezionismo e le contromisure
Convinto che le tasse e i regolamenti impediscano la crescita e consapevole che la loro riduzione beneficerebbe le sue iniziative imprenditoriali, Trump vuole spingersi oltre Reagan e Thatcher in materia di deregolamentazione economica e liberismo.

Il presidente degli Stati Uniti minaccia i vari amministratori delegati (suoi pari) di imporre dazi doganali sui prodotti delle loro fabbriche delocalizzate nei paesi emergenti, e al contempo offre loro la possibilità di operare negli Stati Uniti a condizioni favorevoli quanto lo sono in Cina e Messico, tenendo conto del risparmio sul trasporto e della corruzione della burocrazia estera. Il presidente Trump, in buona sostanza, vuole realizzare il sogno dell’amministratore delegato Trump.

Inizialmente potrebbe anche funzionare, tanto più che vuole lanciare un piano di investimenti nelle infrastrutture pubbliche. In un primo momento la disoccupazione potrebbe anche calare. Ma poi arriveranno inevitabilmente le contromisure dei paesi colpiti da questo protezionismo, l’aumento del deficit pubblico e il calo delle esportazioni più redditizie, risultati tipici delle guerre commerciali, dannose tanto quanto il libero scambio senza controlli.

L’aspetto peggiore di Trump non è la sua demagogia né la sua volgarità e nemmeno la sua intemperanza verbale. È il suo rifiuto della redistribuzione delle ricchezze attraverso le imposte e la cecità del suo nazionalismo economico e del suo “l’America prima di tutto”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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