17 febbraio 2017 09:30

Mentre a Washington Donald Trump convoca una conferenza stampa per dire ai giornalisti quanto li disprezza e li considera bugiardi, i suoi collaboratori più stretti cercano di spegnere gli incendi appiccati dal nuovo presidente.

A New York la sua rappresentante alle Nazioni Unite ha spiegato che l’America “sostiene la soluzione dei due stati”. In questo modo la squadra di Trump ha cercato di placare lo scandalo internazionale suscitato dal presidente dichiarando che “mi è indifferente se avremo la soluzione dei due stati o di uno stato. Se Israele e i palestinesi sono contenti io sostengo la scelta che faranno”.

Questa dichiarazione era stata interpretata come una rottura rispetto al costante sostegno degli Stati Uniti a un accordo di pace basato sulla coesistenza dello stato israeliano e di quello palestinese, ma è un’interpretazione “sbagliata” secondo la povera portavoce che ha dovuto aggiungere, per non smentire il suo presidente, che gli Stati Uniti valutano “anche le alternative” senza precisare quali siano queste alternative, perché in fondo non esistono.

Preso in contropiede
Proviamo quasi compassione per lei, tanto è difficile rappresentare Donald Trump, ma che dire del segretario alla difesa e del segretario di stato, capo della diplomazia?

Il primo, James Mattis, ha dichiarato ai suoi colleghi europei della Nato che gli Stati Uniti cercano un “terreno d’intesa” con la Russia, ma per il momento non si parla di una collaborazione militare con Mosca perché i russi devono “adeguarsi al diritto internazionale”.

Non è questa la linea che aveva seguito fino a oggi Donald Trump, e non è quello che voleva Micheal Flynn, il suo ex consulente per la sicurezza nazionale che è stato costretto a rassegnare le dimissioni a causa dei contatti troppo stretti con l’ambasciata russa a Washington.

Gli europei hanno già dato per persa la Crimea e si accontenterebbero di una ritirata russa dall’Ucraina orientale

Il generale Mattis ha preso in contropiede il suo presidente, esattamente quello che ha fatto il suo collega del dipartimento di stato Rex Tillerson chiedendo a Mosca, in occasione del vertice del G20, di rispettare gli accordi di Minsk sull’Ucraina e mettere fine all’annessione della Crimea. Su questo secondo punto il segretario di stato è apparso più determinato nei confronti di Mosca rispetto agli europei, che hanno già dato per persa la Crimea e si accontenterebbero di una ritirata russa dall’Ucraina orientale. Resta da capire chi esprime la posizione degli Stati Uniti, se il presidente o il suo entourage.

La risposta è talmente incerta che il ministro degli esteri francese Jean-Marc Ayrault ha sottolineato suo malgrado la distanza tra Parigi e Washington sul Medio Oriente.

Nel frattempo i russi si spazientiscono, per un altro motivo. “Quando avverrà il riavvicinamento promesso?”, hanno ripetuto il 16 febbraio. Dietro questa richiesta c’era una sorta di minaccia, perché se il Cremlino decidesse di voltare le spalle alla squadra di Trump, Washington rischierebbe di sprofondare nel caos.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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