24 febbraio 2017 09:55

I miracoli non si possono mai escludere, ma al momento pare molto difficile che si arrivi a una soluzione. Il 23 febbraio a Ginevra è partito un nuovo ciclo di negoziati sulla Siria sotto l’egida dell’Onu. Stavolta i rappresentanti del regime siriano e dell’opposizione siedono faccia a faccia, e questo è il lato positivo. Ma ci sono anche diversi problemi.

Il primo è che il cessate il fuoco istituito il 30 dicembre 2016, dopo la caduta di Aleppo, è talmente fragile che i combattimenti continuano in diverse province siriane nonostante la Russia avesse chiesto la fine dei bombardamenti da parte dell’aviazione del regime per tutta la durata del negoziato.

Il secondo problema è che Bashar al Assad ha riconquistato un vantaggio sul terreno grazie all’appoggio dell’aviazione russa e delle truppe inviate dall’Iran, dunque è meno che mai disposto a farsi da parte o a fare concessioni politiche. Certo, Assad potrebbe inserire alcuni esponenti dell’opposizione a sua scelta nel governo, incaricandoli di occuparsi dei lavori pubblici o dell’istruzione, ma che fine hanno fatto il governo di unità nazionale, le elezioni libere e la nuova costituzione promessi dalla Russia?

Interessi divergenti
I tempi non sembrano maturi per ottenere questi risultati, tanto che gli iraniani già spingono Assad verso una posizione intransigente e, diversamente dai russi, fanno valere la loro presenza sul campo.

Iraniani e russi non condividono più la stessa posizione. Insieme sono riusciti a salvare il regime, ma ora non sono d’accordo sul futuro della Siria perché i loro interessi sono divergenti.

Gli iraniani vogliono un controllo totale sulla Siria per renderla, attraverso l’Iraq a maggioranza sciita, un ponte verso il Libano e consolidare l’asse sciita che hanno costruito in territorio arabo. In Siria, l’Iran sciita vuole affermarsi come potenza regionale appoggiandosi al ramo alauita dello sciismo a cui appartiene la famiglia Assad.

La Russia, invece, non vuole impantanarsi in questa guerra di religione, che in fondo non è altro che una battaglia d’influenza tra l’antica Persia e l’Arabia Saudita.

Mosca deve affrontare anche lo scontro tra gli alleati iraniani e turchi

In Siria, Mosca vorrebbe limitarsi a favorire un compromesso tra il regime e l’opposizione per uscire da questa avventura come artefice della pace e rimettere piede nella regione, approfittando del ritiro degli statunitensi e mantenendo un buon rapporto con tutti gli attori coinvolti, dagli iraniani ai sauditi passando per i turchi. L’opposizione ne è perfettamente consapevole, tanto che oggi si appoggia su Mosca per cercare di contrastare Teheran e strappare concessioni ad Assad.

Ma la ruota gira velocemente, così velocemente che i russi devono affrontare un altro problema, ovvero lo scontro tra gli alleati iraniani e turchi. La Turchia sunnita, infatti, non vuole permettere all’Iran sciita di controllare la Siria. Per non parlare dell’equazione curda. La Russia si ritrova sommersa dalle complicazioni tipiche del Medio Oriente, le stesse che hanno spinto gli Stati Uniti a ritirarsi dalla regione concentrando i loro sforzi contro il gruppo Stato islamico, con un certo successo visto che i jihadisti perdono terreno su tutti i fronti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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