16 aprile 2005 13:01

È passato appena un anno da quando gli ospiti di tutti i talk show ci spiegavano che Ronald Reagan aveva fatto crollare il comunismo nell’Europa dell’est. In questi giorni i mezzi d’informazione si sono comportati come se vivessimo tutti in un paese cattolico e fossimo uniti nel lutto per la morte del Caro Leader. E tutti hanno attribuito quella storica conquista della libertà al “papa polacco”.

Non è una contraddizione: Reagan e Wojtyla potrebbero benissimo aver svolto il compito insieme. Ma forse (anche se oggi non va di moda dirlo) una qualche parte l’hanno avuta anche i lavoratori polacchi e gli intellettuali dissidenti di Varsavia. Ricordo perfino di essere andato a trovare un paio di quegli intellettuali, come Jacek Kuron e Adam Michnik: vivevano in un ambiente laico e in parte ebraico, e consideravano il cardinale di Varsavia Glemp uno dei loro peggiori nemici.

Quel che colpisce oggi è la somiglianza tra la difficile situazione in cui si trova il Vaticano e quella in cui era il Cremlino circa quarantacinque anni fa.

Tra la morte di Stalin e la fine di Krusciov, la questione cruciale era quanto revisionismo e quanta autonomia si potessero tollerare senza compromettere l’ideologia del regime. Oggi sappiamo come la questione sia stata risolta nel mondo materiale. Ma il presunto mondo spirituale è forse immune da tensioni del genere?

Il diritto di emettere giudizi assoluti

Senza accorgersi (o così sembra) di quel che dicevano, i sostenitori del defunto papa l’hanno elogiato per le tante scuse presentate durante il suo pontificato. Wojtyla si è scusato con il popolo ebraico per la freddezza glaciale del Vaticano all’epoca della Soluzione finale, e per le filiazioni storiche fra chiesa e antisemitismo.

Si è scusato con i cristiani ortodossi e con i musulmani per i terribili danni inferti dalle crociate, e dalle conversioni forzate e dai massacri nei Balcani durante la seconda guerra mondiale, quando tra chiesa e fascismo c’era un’alleanza dichiarata. Si è scusato con il mondo della scienza quando ha ammesso che Galileo non avrebbe dovuto essere condannato dall’inquisizione.

Non si tratta certo di ammissioni secondarie e hanno costituito il riconoscimento del fatto che la chiesa cattolica romana è responsabile di aver ritardato lo sviluppo umano su vastissima scala. Ma non abbiate paura: non è minimamente in discussione il diritto, ricevuto da Dio, di emettere e applicare giudizi assoluti.

I papi avranno avuto torto su tutto, ma avevano ragione in generale.

Quando la chiesa si sarà scusata per aver detto che il preservativo è peggio dell’aids, o avrà ammesso di essere stata complice dei massacri in Ruanda, saranno nate e morte parecchie generazioni. Sono bugie simili a quelle di cui dovevano accontentarsi, un tempo, i comunisti e i loro compagni di strada. Di “macchie sul sole di Stalin” ce ne sono state, eccome. Ma il ruolo guida del partito era e restava intoccabile.

Forse per aver intuito che tante ammissioni e confessioni rischiavano di seminare dubbi, Giovanni Paolo II si è impegnato a unificare e motivare il gregge – o base, che dir si voglia. Il segno distintivo di questo sforzo sono stati la produzione in massa di santi e l’abbattimento di ogni ostacolo alla canonizzazione e beatificazione quasi istantanea. È un espediente molto comodo per rafforzare la fede nelle regioni periferiche, dove gli eroi locali sono considerati positivi per il morale della gente.

Disgraziatamente per chi apprezza la coerenza, alcuni dei canonizzati erano in contraddizione con gli obiettivi supremi cui miravano le famose scuse. Il cardinale croato Stepinac fu alleato del regime-fantoccio nazista di Ante Pavelic, ed era perfettamente al corrente del trattamento che esso riservava ai cristiani ortodossi e agli ebrei. Josemaría Escrivá de Balaguer, il sinistro fondatore dell’Opus Dei, era famoso per i suoi stretti rapporti con il generalissimo Franco. Innalzare gentaglia del genere all’onore degli altari è la forma più smaccata di opportunismo.

Un’autentica autocritica

I non credenti sono più misericordiosi e comprensivi dei credenti, oltre che più razionali. Noi non crediamo che il papa subirà un giudizio o un castigo eterno per i milioni di persone che moriranno inutilmente di aids, o per aver offerto pretesti e protezione a chi si è macchiato di un peccato imperdonabile come stuprare e torturare bambini, o per le tante persone a cui il senso di colpa e la vergogna hanno rovinato la vita sessuale, e a cui è stato insegnato a rispettare il corpo solo quando è una spoglia senza vita come quello di Terri Schiavo.

Per noi, questi sono solo i giorni della sepoltura di uno scapolo anziano e lamentoso, che è arrivato troppo tardi e si è fermato troppo a lungo, con un’ideologia primitiva che gli ha impedito di praticare un’autentica autocritica. L’unica che avrebbe potuto salvare lui – e altri meno innocenti di lui – da tanti errori e da tanti crimini.

*Traduzione di Marina Astrologo.

Internazionale, numero 586, 15 aprile 2005*

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