16 dicembre 2006 12:13

Non lontano da casa mia, a Washington, c’è il monumento in memoria di Orlando Letelier, l’esule cileno ed ex ministro degli esteri assassinato con un’autobomba nella capitale statunitense il 21 settembre 1976. Non ci volle molto a capire che quell’atrocità senza precedenti (allora) sul suolo americano – che costò la vita anche a un cittadino statunitense – era stata commessa su ordine del generale Augusto Pinochet.

La testimonianza del capo della sua polizia segreta, il generale Manuel Contreras, confermò tutto. Il dipartimento della giustizia statunitense aprì un procedimento contro Pinochet. Ma l’atto d’accusa non è mai stato reso pubblico.

La morte di Pinochet è l’occasione, tra l’altro, per ricordare le vittime del suo terrorismo (che fu di stato e internazionale) e il modo vergognoso in cui è riuscito tante volte a sottrarsi alla giustizia. Pinochet ha fatto la fine dello spagnolo Francisco Franco, con una serie di addii sul letto di morte oscenamente prolungati, assistito da numerosi sacerdoti che gli offrivano l’estrema unzione.

Alla fine i cileni si sono stancati di come Pinochet s’ammalava gravemente appena i magistrati si avvicinavano ai suoi archivi o ai suoi conti bancari. Come Franco, il dittatore cileno è sopravvissuto al suo stesso regime e ha visto il paese affrancarsi dalla tutela che gli aveva imposto.

E, di nuovo come il generalissimo spagnolo, s’è guadagnato un posto nella storia tra i militari ambiziosi disposti a tradire la costituzione che avevano giurato di difendere. Aver abbattuto la democrazia nel paese latinoamericano con la più lunga tradizione democratica, sarà sempre ricordato come uno dei crimini più sconvolgenti del novecento. Il golpe di Pinochet – che avvenne l’11 settembre del 1973, per chi cerca presagi nelle date – è stato un crimine in sé, ma ne ha provocati molti altri.

Nel decennio scorso, specie dopo il suo arresto in Inghilterra nel 1998, quei crimini hanno cominciato a raggiungerlo. Pinochet si era procurato l’immunità a vita e un seggio al senato per una graduale uscita di scena. Ma queste precauzioni non gli servirono a Madrid, dove un magistrato ottenne un mandato di cattura per la “scomparsa” di alcuni cittadini spagnoli. Il mandato del giudice Baltasar Garzón trovò ascolto a Londra e fu l’inizio della fine.

Tornato in Cile, il generale fu accolto da una società civile con una nuova consapevolezza. Io stesso una volta andai a testimoniare davanti al giudice cileno Juan Guzmán, il magistrato che alla fine lo incriminò e gli prese le impronte digitali: Guzmán mi raccontò che all’inizio era stato un sostenitore del golpe e che veniva da una famiglia di militari conservatori in cui Pinochet era considerato un salvatore. Fu solo quando studiò gli incartamenti giudiziari – tanti e con prove inconfutabili di uccisioni, torture e rapimenti – che il giudice capì cosa doveva fare.

Probabilmente il crimine peggiore di Pinochet fu l’Operazione Condor, il coordinamento tra le polizie segrete di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Ecuador e Brasile. La rete uccise gli esiliati politici perfino a Roma, come nel caso del democristiano cileno Bernardo Leighton, e a Washington.

Ma il Cile era pieno di terrificanti casi di omicidi extragiudiziali, carceri segrete e centri di tortura come la famigerata villa Grimaldi. Quegli anni nel Cono Sud dell’America Latina furono un incubo che, per milioni di persone, è ancora vicino come se fosse ieri.

Alcuni sostenevano che Pinochet, al di là di tutto, aveva tolto le catene all’economia cilena e lasciato spirare la brezza del liberismo alla Friedman (per questo la signora Thatcher lo invitava sempre a fare shopping a Londra). Tuttavia i paladini del libero mercato probabilmente non credono che per attuare queste politiche ci voglia la tortura, l’omicidio o la dittatura.

Ho sentito recentemente Isabel Allende dire che nessuno oggi tenterebbe il programma statalista della Unidad popular di suo zio. Ma Salvador Allende non ha mai ordinato di far sparire nessuno, ed è morto con coraggio al suo posto, e tanto basta per fare la differenza. D’altro canto, l’attrazione di Pinochet per le privatizzazioni è stata spiegata quando i conti della fallita Riggs Bank di Washington hanno mostrato ingenti depositi segreti a suo nome. Questo, combinato con il cinismo dei suoi metodi per sottrarsi alla giustizia, ha smascherato per sempre la sua meschinità.

I cileni hanno saputo restaurare la democrazia senza violenze e con metodi democratici hanno giudicato Pinochet. Ma c’è un prezzo per la lentezza e l’accuratezza di questi procedimenti. Molti cileni non sanno nulla dei loro cari spariti o di come siano morti. E mai Pinochet ha dato un’informazione o ha dimostrato un rimorso.

Come Milosevic (un altro che si è fatto beffe della giustizia morendo) e Saddam Hussein, è stato arrogante fino all’ultimo. Il Cile e il mondo se ne sono sbarazzati, e possiamo dire almeno che la sua rozza battaglia per sottrarsi alla giustizia ci ha aiutato a creare gli strumenti perché i tiranni possano essere perseguiti in tutto il mondo.

Internazionale, numero 672, 14 dicembre 2006

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