16 febbraio 2015 17:04

Quando un uomo armato ha aperto il fuoco contro un centro culturale di Copenaghen, sabato pomeriggio, io ero a 2.700 chilometri di distanza. Ma i miei figli erano proprio lì, a pochi chilometri dal luogo dell’attacco, rimasti a casa con i nonni nella capitale danese.

Leggere la notizia su internet mi ha raggelato. Qualcuno aveva crivellato di colpi l’esterno di un locale dove si teneva un convegno su islam e libertà di espressione, e poi si era dileguato. Sembrava una ripetizione del primo atto della strage avvenuta a Parigi il mese scorso. Tutto questo a dieci minuti da casa nostra.

Quando poi ho letto dov’è stata ritrovata l’auto usata dagli attentatori, mi sono agitato ancora di più: il teatro del secondo attacco era diventato il nostro quartiere.

Ho chiamato i miei genitori, che non sapevano ancora nulla, e gli ho chiesto di chiudere la porta a chiave e restare in casa. Non volevo allarmarli troppo, ma c’era la concreta possibilità che un fanatico pronto al suicidio s’infilasse in una delle case della nostra zona residenziale per barricarsi contro la polizia.

Il terrore era arrivato alla nostra porta.

Lo sviluppo degli eventi è stato drammatico: due vittime e diversi feriti, con una seconda sparatoria davanti a una sinagoga. E infine l’uccisione del presunto assassino.

Il giorno dopo, rientrando a Copenaghen, ho trovato la città ancora in stato di allerta, traumatizzata da un attacco che comunque era nell’aria. Dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato ebraico di Parigi, tutti qui ripetevano che l’obiettivo successivo sarebbe stato Copenaghen.
Lo sentivo dire talmente spesso che ormai mi sembrava improbabile, troppo scontato. E invece, per citare le parole di Helle Marite Brix, organizzatrice del convengo su islam e libertà di espressione di sabato scorso, “quello che temevamo che sarebbe successo, è successo davvero”.

La reazione dell’opinione pubblica alle sparatorie di Copenaghen è stata comunque decisamente più tiepida rispetto ai fatti di Parigi. E non credo che la causa sia solo il minor numero di vittime: la strage di Charlie Hebdo era senza precedenti e ha scioccato l’opinione pubblica anche perché ha creato una nuova frontiera del terrore, un pericolo nella nostra vita quotidiana che fino a poco tempo prima non concepivamo.

Ora invece sappiamo che questo può succedere. Che la violenza di qualche invasato aspirante suicida può arrivare fino alla nostra porta di casa. Ed è una minaccia con cui dobbiamo imparare a convivere.

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