11 marzo 2016 12:25

Non sono madre, ma soffro a vedere quanto sia organizzata la vita dei figli delle mie sorelle e dei miei amici. Esistono ancora i bambini che giocano per strada?–Ilenia

Poco prima che andassimo ad abitare a Ginevra, in Svizzera, ho fatto un giro delle scuole internazionali per scegliere in quale iscrivere le mie figlie. Nella scuola più grande e più bella di tutte mi hanno fatto fare un tour per poter dare un’occhiata in giro. Insieme a me c’era anche un silenziosissimo padre russo che, mentre io mitragliavo di domande la nostra guida attraversando la spaziosa mensa, la biblioteca e il campo di calcio, non ha mai aperto bocca. Arrivati alla fine del giro, quando stavo per andarmene convinto di aver trovato il paradiso in terra per le mie figlie, il russo ha chiesto: “Avete i dati relativi alla riuscita universitaria dei bambini che fanno l’asilo qui?”.

Mi sono voltato verso di lui con occhi sgranati. Ma sono rimasto ancora più sconvolto quando la responsabile della scuola, senza battere ciglio, ha tirato fuori un foglio dal plico che aveva in mano e ha detto sorridendo: “Certo, eccoli”. Il russo ha gettato uno sguardo sul foglio e ha continuato: “E quelli sulla riuscita professionale?”. Altro sorriso e altro foglio pieno di numeri. Possibile che a quel padre non interessasse delle altalene in giardino o del pranzo della mensa, ma già pensasse alla loro riuscita professionale? Negare l’infanzia ai bambini è uno dei torti più grandi che gli si possa fare. Le mie figlie sono finite in una scuola di quartiere, dove l’unica riuscita che contava era quella del lavoretto di Natale.

Questa rubrica è stata pubblicata l’11 marzo 2016 a pagina 14 di Internazionale, con il titolo “Scuola riuscita”. Compra questo numero| Abbonati

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