20 giugno 2016 16:35

Il Regno Unito è spaccato. Nonostante le continue oscillazioni in un senso o nell’altro, da settimane i sondaggi descrivono un paese diviso a metà sul referendum per decidere se rimanere o andarsene dall’Unione europea, previsto per il 23 giugno.

La lacerazione si percepisce a ogni angolo di strada: da cartelli davanti alle case che proclamano orgogliosamente: “We remain”, agli adesivi della Union Jack sulle auto con su scritto “Leave”, alle T-shirt, i volantini, le dichiarazioni di voto di politici, giornalisti, perfino dei cantanti (una tra tutti, Ellie Goulding, che da settimane twitta a raffica slogan europeisti).

Sui treni ne parlano tutti, e ieri una signora mi ha detto: “Io sono indecisa, ma il solo fatto che Cameron sia per restare mi mette una gran voglia di votare per uscire”. Un clima di tensione che si respira anche nei rapporti interpersonali: “Sai cosa ha avuto il coraggio di dirmi Gavin?”, si è lamentato pochi giorni fa un amico italiano a proposito del suo ragazzo inglese. “Mi ha detto: ‘Se solo tu riuscissi a prendere questa cosa in modo meno italiano’, dove ‘questa cosa’ voleva dire noi, io e lui, la nostra storia! Gli ho riposto: ‘E se invece tu cercassi di prendere questa cosa in modo meno fottutamente britannico?’”.

La spaccatura da Brexit s’infiltra fino all’interno delle relazioni personali. Io mi ero trasferito qui da appena qualche settimana quando mi sono beccato da un amico inglese il mio primo “Sai qual è il problema di voi europei?”. Già, perché i britannici, per qualche incomprensibile motivo, non si sentono europei.

Il ruolo globale di Londra è un’opportunità e sarebbe un peccato rinunciarci

Negli ultimi giorni ho cercato tra amici e conoscenti qualcuno intenzionato a votare per l’uscita dall’Unione europea, ma senza successo: nella regione londinese e tra le persone della mia età, la maggioranza di chi vota per restare è schiacciante.

Finché ieri, mentre mi ingozzavo con un arrosto della domenica in un pub di campagna con un gruppo ristretto di amici, ho scoperto che l’euroscettico a cui davo la caccia era sempre stato sotto il mio naso senza che lo sapessi: Steve, il pompiere gallese con cui è fidanzata mia sorella, voterà per il leave. All’inizio pensavo che scherzasse, ma la reazione di mia sorella mi ha fatto capire che non è così: “Ti prego non tocchiamo l’argomento”, mi ha detto seccata. “Almeno oggi che è domenica vorrei evitare di litigare per questa storia”.

Steve voterà per l’uscita perché, mi ha spiegato, “il Regno Unito è un paese che funziona bene, e i vincoli dell’Ue ci mettono i bastoni tra le ruote. E comunque noi non siamo europei”. Anche se mia sorella lo prende come un voto contro di lei, io rispetto la posizione di Steve, però davvero non capisco questa idea britannica del loro non essere europei.

La casa comune

Il Regno Unito è parte integrante dell’Europa dal punto di vista geografico, storico, culturale e politico: ho ricordato a Steve che il sistema democratico concepito da loro ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della democrazia europea. Gli ho fatto notare che la Germania, per esempio, è un paese che ha molte più caratteristiche in comune con il Regno Unito che con l’Italia o la Spagna.

Mentre mia sorella faceva appello ai sentimenti – “Steve, stai votando contro di me! leave significa ‘vattene’ e in pratica stai votando per rispedirmi nel mio paese!”– io ho cercato di convincerlo con argomentazioni più razionali: negli altri paesi in cui ho vissuto mi sentivo un ospite, a Londra ho l’impressione di essere a casa.

E questo perché Londra ormai è la capitale d’Europa. È piena di italiani o polacchi perché è la loro metropoli di riferimento al livello continentale. A Steve non piace che la capitale cavalchi la globalizzazione lasciando indietro il resto del paese. Ma il ruolo globale di Londra è un’opportunità e sarebbe un peccato rinunciarci. Come New York è stata centro e traino dell’ascesa americana, la capitale britannica ha tutte le carte in regola per svolgere lo stesso ruolo oggi in Europa.

Sta invece ai politici britannici trovare il modo di diffondere il miracolo economico londinese nel resto del paese, ed evitare che il malcontento si trasformi in antieuropeismo e voglia di uscire dall’Ue, che segnerebbe una brutta frenata d’arresto per Londra e quindi per tutto il Regno Unito. Non mi illudo di aver convinto Steve a cambiare il suo voto, ma tanto, su questo, conto che ci lavorerà mia sorella.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it