09 settembre 2016 12:37

È pedagogicamente e moralmente accettabile chiamare un o una babysitter per andare a ballare?–Stefano

Chi mi conosce sa che da ragazzo facevo il dj. E chi mi conosce ancora meglio sa che quando sono diventato padre la mia console è diventata un fasciatoio. Tanto, di andare in discoteca non se ne parlava neanche. E poi diciamolo: l’altezza di quel mobile era perfetta per cambiarci sopra un bambino. Ultimamente, però, complice l’età raggiunta dai miei figli, il mio trasloco vicino a Londra e una crisi di mezza età galoppante, ho ricominciato ad andare a ballare. E mi diverto proprio come allora.

Prima della pedagogia o della morale, però, mi sono preoccupato delle finanze. Nel Regno Unito prendere un babysitter per tutte quelle ore non è economicamente sostenibile, e la soluzione qui si chiama sleepover: mandi i bambini a dormire dagli amichetti, ovviamente promettendo ai loro genitori che ricambierai il favore.
Qualche altro accorgimento: in discoteca almeno un genitore non deve bere, così il giorno dopo potrà essere operativo in casa; non ci si va più di una volta al mese; il timbro del locale sul dorso della mano va strofinato via prima di portare i bambini a scuola il lunedì mattina.

Nel mio caso ha funzionato talmente bene che di recente la mia console da dj è ricomparsa in salotto. Ma quello che non avevo messo in conto è che me la devo contendere con i miei figli. E temo che tra poco dovrò smettere di nuovo di andare in discoteca, per evitare di incontrarceli.

Questa rubrica è stata pubblicata il 9 settembre 2016 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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