23 giugno 2016 20:10

Un’idea per salvare il centro storico di Roma. Riempire di terra e di spazzatura tutta l’area ai piedi dei sette colli fino a formare un grande altopiano su cui costruire una città nuova. Noi avremmo finalmente una capitale moderna e vivibile e regaleremmo ai nostri posteri l’emozione di riscoprire le bellezze della Roma antica. Insomma, come Raffaello ai primi del cinquecento si calava con una lucerna nella Domus Aurea sepolta e scopriva le meraviglie della pittura antica, così i romani del futuro riscopriranno San Pietro, Santa Maria Maggiore ma anche la stazione Termini e il Colosseo Quadrato dell’Eur. E magari lo scheletro della Nuvola di Fuksas, questa strana struttura nata già in rovina che non mancherà di stimolare studi e dibattiti infuocati. I nostri discendenti si godranno un nuovo rinascimento e noi una città moderna, pulita e senza rovine.

Non è lo stralcio di un qualche strampalato programma elettorale, è uno dei progetti proposti dal gruppo di architetti radicali del Superstudio a cui il MAXXI di Roma dedica una grande retrospettiva, Supersudio 50, aperta fino al 4 settembre 2016.

Superstudio, Salvataggi di centri storici italiani (Italia vostra), Firenze, 1972. (C. Toraldo di Francia, Per gentile concessione del Maxxi)

La proposta di interrare il centro di Roma fa parte di una serie di progetti-provocazione che il Superstudio ha messo insieme nel 1972 con il titolo Salvataggio di centri storici italiani (Italia vostra). Tra gli altri salvataggi: chiudere il centro di Milano dentro una specie di serra per garantire sempre il giusto tasso di smog e di nebbia e allagare Firenze fino a trasformarla in una specie di nuova Venezia.

Dietro a quest’ultima provocazione c’è il ricordo di una calamità epocale che, in qualche modo, ha fatto da sfondo storico alla creazione del Superstudio: l’alluvione di Firenze del 1966, un evento traumatico, una specie di perdita dell’innocenza nel rapporto tra gli italiani e il loro patrimonio territoriale, artistico e architettonico.

Il Superstudio è stato fondato in una Firenze ancora infangata, nel dicembre 1966, da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia, poi raggiunti da Gian Piero Frassinelli, Roberto e Alessandro Magris e Alessandro Poli. La contestazione studentesca era agli albori nelle università e l’esperienza delle neoavanguardie stava mostrando che l’arte, la cultura, la politica, il tempo libero potevano essere reinventati e soprattutto vissuti in modi nuovi, eccentrici, rivoluzionari.

Bazaar, Giovannetti, 1969, divano componibile. (C. Toraldo di Francia, Per gentile concessione del Maxxi)

Gli oggetti magici
Il Superstudio, con linguaggi e modalità tipici delle neoavanguardie degli anni sessanta, nasceva per ripensare il design e l’architettura in modo radicale. Basta, per esempio, con la schiavitù del modernismo e del Bauhaus, con la sua ossessione per forma e funzione. La corsa verso il “design utile” è una gara persa in partenza. Il Superstudio concepisce oggetti magici, delle “bombe simboliche”, oggetti che prima ancora di essere disegno sono racconto. Come la lampada Gherpe (1967) che, come spiega Toraldo di Francia, può essere usata per leggere il giornale ma il suo vero senso è nella luce colorata che si propaga in maniera sempre diversa dalle sue spire di plastica.

Gherpe, Poltronova, 1967, lampada. (C. Toraldo di Francia, Per gentile concessione del Maxxi)

Anche la funzione dell’architettura si smaterializza nella visione radicale del Superstudio. Non si ragiona più in termini di edifici specifici ma, attraverso gli istogrammi di architettura (1969), si arriva all’idea platonica dell’elemento architettonico: una sorta di gioco del lego modulabile all’infinito, sia su scala piccola (per assemblare mobili) sia su scala monumentale.

Nella visione spettacolare del vivere e dell’abitare del Superstudio, quello della monumentalità è un tema centrale. Il Monumento continuo (1969), è una delirante esplosione dell’architettura che, fuori da qualunque senso di scala o di destinazione d’uso, vuole arrivare a sostituirsi alla natura. Il Monumento continuo è pensato come una struttura senza fine e senza altro senso al di fuori della sua stessa esistenza: immaginate un insieme di moduli che, giustapposti all’infinito, arrivino a ricoprire le città, le foreste, i laghi e gli oceani. Una grande muraglia che non protegge o separa nulla e che viaggia attraverso i continenti, sempre uguale a se stessa.

Il Monumento continuo (piazza Navona), 1970, fotomontaggio. (Archivio Superstudio, Per gentile concessione del Maxxi)

È troppo facile definire utopica la visione del Superstudio. L’utopia esiste come vagheggiamento o proposta di un mondo migliore. L’utopia prevede una fine e un fine ultimo. L’orizzonte progettuale ed estetico del Superstudio, invece, è più un lungo racconto, una continua, radicale messa in discussione del reale.

La mostra Superstudio 50 raccoglie progetti, installazioni, modellini, mobili, oggetti e film realizzati tra il 1966 e il 1978. Il catalogo a cura di Gabriele Mastrigli è edito da Quodlibet.

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