02 dicembre 2014 19:49

A chi dare il Pallone d’oro nell’anno dei Mondiali? Siamo d’accordo, se fosse assegnato a Manuel Neuer, portiere del Bayern Monaco e della nazionale tedesca, c’è il rischio di vederlo catalogato come il Pallone d’oro alla Germania campione. Come quello a Cannavaro nel 2006 o, per citare gli ultimi due vincitori tedeschi, Lothar Matthäus nel 1990 e Matthias Sammer nel 1996 (in quel caso Sammer era sineddoche del Borussia Dortmund che aveva vinto la Champions League). E non gli rende giustizia neanche chi vuole farglielo vincere solo per rompere l’inerzia degli ultimi sei anni di Messi-Ronaldo. Ma c’è un ma.

Manuel Neuer merita davvero il Pallone d’oro. Oltre a dei riflessi eccezionali per un atleta di un metro e novantatré e novanta chili, e un modo unico di affrontare a viso aperto gli attaccanti nell’uno contro uno (si ispira, dice, ai portieri di pallamano), c’è quella disinvoltura a giocare la palla con i piedi che gli permette da una parte di costruire l’azione con i suoi compagni e dall’altra di entrare in tackle o di dribblare da ultimissimo uomo (anche di tacco, o di testa).

Neuer è un torero in grado di bloccare un toro in corsa, o di schivarlo facendogli passare la palla tra le zampe se preferisce. Potrebbe accontentarsi di fare il suo lavoro meglio di chiunque altro al mondo e nessun allenatore al mondo farà mai i complimenti al proprio portiere per aver dribblato un attaccante, per questo c’è qualcosa di provocatorio in quelle foto in cui Neuer sta solitario a metà campo mentre la sua squadra attacca, rivendicando il suo diritto a calpestare zone in cui i portieri di solito non si spingono.

Non è l’unico portiere pazzo della storia, ma i portieri pazzi del passato non erano anche i portieri migliori al mondo. Perfino il re dei portiere pazzi René Higuita ha pagato caro a Italia ’90 il tentativo di dribbling (di tacco anche lui) su Roger Milla, durante gli ottavi di finale tra Colombia e Camerun. Però Neuer ha in comune una cosa con Higuita: come lui reinventa il senso di quel ruolo assurdo che è il portiere, trasformando un mestiere legato per lo più a situazioni claustrofobiche, e uno sport che vive nello stress di un evento raro come il gol, in qualcosa di temerario e leggero.

Daniele Manusia è vicedirettore e cofondatore dell’Ultimo uomo. Per Vice cura la rubrica Stili di gioco, scrive anche su IL. Il suo primo e unico libro è Cantona. Come è diventato leggenda (Add 2013).

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it