23 agosto 2016 19:00

Ricominciamo giocando con qualche aggettivo utile per l’autunno: popolare, populista, impopolare. Le tradizioni popolari sono buone, la sovranità popolare anche. Una base popolare è fondamentale, non solo per i politici ma per cantanti, attori, scrittori, registi, artisti vari, conduttori televisivi. Essere popolari è un piacere, chi lo diventa soffre a rinunciarci. Ma qui già bisogna fare attenzione.

La popolarità a tutti i costi è un male. Va bene farsi adorare dal popolo, ma attenzione a non barattare l’adorazione promettendogli mari e monti. Il monopolio delle buone promesse al popolo ce l’hanno solo i popolari. Se s’invade il loro campo, si diventa populisti, vale a dire il peggio del peggio. Come la buona Sabrina Ferilli, che una volta era correttamente popolare e poi è diventata scorrettamente filopopulista. Come Dario Fo, che una volta era così genialmente popolare da guadagnarsi il Nobel e poi è diventato così azzardatamente filopopulista da meritarsi di doverlo restituire.

Una via ben sperimentata è questa: coltivare la propria popolarità spacciando per proprie le proposte popolari dei populisti. E intanto avere il coraggio di essere impopolari quando più che l’impopolarità si rischia la poltrona. Naturalmente sono tutte etichette per conflitti mediatici. La sostanza è che nessuno sa più bene cosa farsene dell’abusatissimo concetto di popolo.

Questa rubrica è stata pubblicata il 4 marzo 2016 a pagina 94 di Internazionale con il titolo “Tutte etichette”. Compra questo numero| Abbonati

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