27 settembre 2016 11:09

L’ottimismo governativo pare in fase calante. Si diramano meno bollettini della vittoria, vanno scemando i discorsetti su quanto scoppi di salute tutto ciò che è italico. Qualcuno ha ipotizzato una ritirata strategica in vista del referendum, o un riprendere fiato in vista di un forte entusiasmo autunnale o un attacco di paura della realtà, normale negli ottimisti di maniera.

Ma se le cose stanno così – se cioè si può calcare in allegria sul pedale del migliore dei mondi possibili e decelerare come se niente fosse a seconda dell’aria che tira – vuol dire che l’ottimismo governativo è una recita, uno spettacolino come tanti che, quando non funziona, si dà un taglio alle repliche e se ne imbastisce un altro. Meglio allora la malinconica consapevolezza che i guai sono numerosissimi e neri, che hanno una loro lunga sporca storia e che bisogna lavorarci senza smargiassate, senza far finta di saper dire meglio di tutti un abracadabra che muti la nerezza in lindore.

Ci sono in giro molte persone serie che questa consapevolezza ce l’hanno e a volte si affacciano compostamente anche in tv per dire la loro, senza giochi entusiasmanti da maghetto. Sanno che le cose non vanno e sanno come, tra ragionevoli tentativi e non pochi errori, potrebbero andare. Sono pessimisti di buona volontà, un solido senso comune, competenze elevate e una discreta immaginazione. Cioè ottimisti senza recite.

Questa rubrica è stata pubblicata il 9 settembre 2016 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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