15 novembre 2016 19:01

In nervosa attesa dei risultati americani, qualcuno ha sbottato: meglio la chiarezza. A che serve la messinscena nerodemocratica degli Obama, o quella ridente-efficientistica di Hillary, se non ad addolcire la faccia brutale del potere?

Ciò che è solo un po’ meglio non cela il peggio e ne è complice? Che vincano dunque i Trump, bianchi e trucidi. Il loro pessimo spettacolo mostrerà con chiarezza cosa c’è dietro il vetro opaco della democrazia e indurrà a una ribellione che raddrizzerà la rotta del mondo.

Cosa che vale anche per l’Italia. La vittoria del no alle riforme renziane non finirebbe per dare l’impressione di un paese combattivo? Mentre invece la nostra è una terra stremata, condannata ormai anche da terremoti e uragani a dire yes in fretta a una destrasinistra, a una sinistradestra, arruffona, arraffona: meglio dunque il sì, mostrerebbe in tutta evidenza la china che stanno prendendo le democrazie e nutrirebbe il bisogno di ribellione.

Così, ingannando il tempo, si è chiacchierato, si è sragionato. Ma poi ci siamo tutti spaventati. È sicuro che far chiarezza salva? Chi dice che del peggio ci si libera facilmente? La fandonia politicoculturale ben riuscita, la fandonia buona, non mostra di fatto la possibilità di una reale inversione di rotta? Non è essa stessa uno stimolo positivo? Ce ne siamo stati appesi per ore al punto interrogativo, tra meglio e peggio.

Questa rubrica è stata pubblicata il 11 novembre 2016 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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