29 novembre 2016 18:00

C’è un’etichetta per tutto, ormai, basta incollarla e ci si sente in ordine. Se sei nato subito dopo la seconda guerra mondiale, cosa sei? Un baby boomer. E i tuoi figli? Appartengono alla generazione x, a quella y. Può succedere naturalmente che la nostra esperienza non quadri del tutto con le didascalie diffuse dai mezzi d’informazione. Ma ci vuole poco ad adattarsele: basta potenziare ciò che è coerente e ricacciare indietro ciò che non lo è. Così le nostre vite di gente di mezza cultura rafforzano le caselle che ci incasellano.

Ecco dunque che viviamo allo stato liquido. Ecco che siamo esposti a metamorfosi di tutti i tipi. Ecco che ogni nostro sospiro è una narrazione. Ecco che per colpa di internet siamo finiti nella post-verità. Inutile sottolineare che, insieme allo stato liquido, persistono lo stato gassoso e quello solido. Inutile dire che le forme durano più di quanto mutino. Inutile dire che oltre al narrare, la lingua ha un buon numero di altre funzioni. Inutile dire che il nesso tra verità e menzogna ha una lunghissima storia e che il concetto di post-verità si impoverisce se lo si usa a destra e a manca. Tutto, anzi, si impoverisce, in assenza di discorsi complessi, gli unici che disgraziatamente aiutano a orientarsi nel mondo. Ma che importa orientarsi sul serio? L’essenziale è darsi un qualche ordine, specie quando in realtà niente è più in ordine.

Questa rubrica è stata pubblicata il 25 novembre 2016 a pagina 14 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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