06 dicembre 2016 16:38

Una volta, se si voleva rendere un ottimo servizio alla provincia in cui si era nati, la si sprovincializzava. L’amore per la terra natia si manifestava esponendo le proprie radici all’influenza positiva di altri mondi. Guardare oltre aiutava a vedersi. Si sentiva la necessità di riesaminarsi e riesaminare la storia, i costumi del proprio paese sapendo che da quel riesame passava il cambiamento. Fare cultura era un aprirsi scombinando e ricombinando il mondo. Oggi invece, sui mezzi d’informazione, sia il massimo dell’apertura sia il massimo della chiusura sembrano generare sempre lo stesso noiosissimo stallo.

Ciò che un giorno viene spacciato fiaccamente per nuovo getta subito la maschera il giorno dopo e lo riconosci per il vecchio arnese che avevi messo in cantina. Non c’è nessuna fetta della nostra provincia, nessuna area del pianeta a cui guardare con interesse. Salvo che su internet. Se frughi bene in quella grande laida pattumiera dentro cui si affolla di tutto in tempo reale, bene, con sorpresa, lì solo a volte, e del tutto casualmente, ti imbatti nel lavoro nuovissimo di qualche giovane uomo o giovane donna che, in un cantuccio, prova a proporre altri sguardi o almeno altri occhiali. Forse – ti entusiasmi – bisognerebbe segnalarli ai vecchi grandi giornali, ai vecchi grandi editori. Poi ti dici: meglio di no. Meglio per il futuro delle province e del mondo.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it