10 gennaio 2017 14:55

I fattacci abbondano, e anche i malfattori e il malfatto. Su e giù per il pianeta, di minuto in minuto, le giornate di una quantità spropositata di esseri umani si mettono non solo male ma malissimo. Augurare una buona giornata, quindi, è una generosa prova di ottimismo. Tuttavia noi lo facciamo e ci rilanciamo la speranza come la palla in una partita a rischio.

Non è un augurio a cuor leggero, sentiamo che è un azzardo e perciò lo sottoponiamo a continua verifica. Al “buongiorno” facciamo seguire “buon pomeriggio”, “buonasera”, “buonanotte”, autoassegnandoci una sorta di trepida vigilanza beneaugurante sulle ventiquattrore. Figuriamoci quindi quanto ottimismo ci vuole per augurare “buon anno”. L’augurio su un arco di tempo così lungo è una scommessa audace. Per capirci, noi ipotizziamo la bellezza di trecentosessantacinque “buongiorno” con il loro corredo di “buon pomeriggio”, “buonasera” e “buonanotte”.

Troppo per la gestione sempre più dissennata della vita associata. Troppo per come va pericolosamente il mondo. Troppo per i neuroni specchio che, a forza di riflettere nefandezze contro i nostri simili, tendono a opacizzarsi. Troppo se si pensa che sta per cominciare la presidenza Trump. Ma con questo? Il “buon anno a tutti” è quel poco che resta dei grandi sogni di felicità universale. Quindi, in mancanza d’altro, buon anno, buon tempo che verrà.

Questa rubrica è stata pubblicata il 6 gennaio 2017 a pagina 14 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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