23 maggio 2017 12:50

Siamo abituati da tempo a leggere romanzi nell’italiano delle traduzioni. Essi ci raccontano, mettiamo, storie di americani di New York o di Washington ambientati nelle case, per le strade, nelle istituzioni di quelle città. E l’abitudine è così radicata che, pur esprimendosi nella nostra lingua, diamo per scontato che in uno Starbucks sulla Fifth avenue Jim parli in inglese a Jane.

La cosa ci pare a tal punto naturale che quando scriviamo i nostri romanzi in italiano ormai ci infastidisce chiamare i personaggi Pina o Amedeo e farli chiacchierare in una via di Reggio Emilia, sicché americaneggiamo pur vivendo, mettiamo, a Borgo Grappa. Ora però va crescendo un fenomeno di notevole interesse.

Ci sono scrittori italiani d’America (ci vivono e lavorano da decenni, pur avendo legami forti con l’Italia) che raccontano non in inglese ma in italiano storie di italiani la cui esistenza è ormai in inglese. Qui Washington non è incastonata nell’italiano dei romanzi tradotti, ma in un italiano autonomo che racconta di personaggi che si chiamano Jeff e Liz ma anche Liliana, Alessandro. Qui soprattutto, nella trama americana, a un certo punto prende peso Aosta o L’Aquila o Salerno o comunque un po’ d’Italia distante, quasi straniera. Ecco qualche nome: Laura Benedetti, Chiara Marchelli, Tiziana Rinaldi Castro. E altri ce ne sono, altri ne verranno.

Questa rubrica è stata pubblicata il 19 maggio 2017 a pagina 12 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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