21 dicembre 2006 12:13

Su un giornale molto popolare in Turchia è uscito un articolo con questo titolo: “La tradizione uccide ancora”. Sotto l’articolo c’era la fotografia di una ragazza. Un sorriso che si è spento per sempre.

Quante donne in Turchia vivono sotto la stretta sorveglianza di padri, fratelli e mariti? E quante di loro subiscono abusi, vengono uccise o costrette a suicidarsi, se non accettano questo controllo continuo?

Oggi questo tema controverso sta trovando molto più spazio sui mezzi di informazione turchi e molti si chiedono se il numero di delitti d’onore nel nostro paese stia aumentando. Credo di no, questi episodi non sono più frequenti: siamo noi a essere più consapevoli e critici di prima. Penso che non ci sia stato un aumento dei delitti d’onore in Turchia, ma un aumento della consapevolezza che ne abbiamo.

Sono convinta che noi, il resto della società, stiamo cominciando ad aprire gli occhi e a vedere che nel nostro paese esiste una terribile realtà. Episodi su cui in passato si poteva tacere, oggi non possono più essere tenuti nascosti.

Ormai anche un crimine che avviene in un piccolo e remoto villaggio arriva immediatamente sulle pagine dei giornali di Istanbul e di Ankara, e tutto il paese ne viene a conoscenza.

Le informazioni sono a disposizione di tutti e, in questo nuovo contesto, le notizie sugli abusi nei confronti delle donne non possono più essere tenute nascoste.

Si tratta di un fatto positivo, ma ora i turchi devono cominciato a riflettere sull’aspetto più importante della questione: la nostra idea dell’onore.

In uno studio recente, il professor Aytekin della facoltà di psichiatria dell’università Dicle ha rivolto a una serie di persone di origine curda, zaza, araba e alevi, che vivono sia in città sia nei villaggi, questa domanda fondamentale: cos’è l’onore? Il 32,9 per cento ha risposto: “Mia moglie, mia sorella, mia madre e la famiglia”.

Quando ha chiesto agli intervistati qual è il “dovere di un uomo”, considerata questa premessa, il 70 per cento ha risposto: “Proteggerle”. Molti quindi ritengono che il ruolo principale degli uomini sia quello di proteggere le loro mogli, sorelle e madri, e soprattutto le loro figlie.

Il 13,9 per cento ha risposto invece: “Tenerle d’occhio”. È una mentalità basata sulla convinzione che le donne sono destinate a sbagliare. Le donne sono “esseri umani più deboli”, che rischiano di commettere errori o prendere la strada sbagliata in qualsiasi momento. Come se non avessero né volontà né personalità. Devono essere costantemente tenute sotto controllo affinché non commettano errori.

Quando si parla di onore tutti chiamano in causa “il peso della tradizione”. Mi chiedo però se la tradizione possa davvero uccidere. È come se avessimo creato un essere immaginario chiamato “tradizione”. Sembra che questo essere dia gli ordini e tutti siano costretti a obbedire. La tradizione diventa un mostro orrendo davanti al quale nessuno ha più volontà né scelta. Ma sono persone vere a uccidere le nostre donne, non un’entità astratta chiamata tradizione. Spesso gli assassini sono parenti stretti delle vittime. Sono loro che giudicano il crimine e stabiliscono la punizione.

Uno dei motivi per cui sono contraria all’uso indiscriminato che si fa della parola “tradizione” è che spesso allude a un’etnia specifica, cioè quella curda. Ma non è solo un “problema curdo” e non riguarda soltanto le donne curde: ci riguarda tutti. È per questo che è sbagliato collegare questi omicidi alla nostra tradizione. Dobbiamo chiamarli “delitti d’onore” o “delitti e violenze commessi dietro la maschera dell’onore”.

Ho davanti a me due rapporti del gruppo Kamer di sostegno alle donne, che si riferiscono al 2004 e al 2005, e sto leggendo le analisi di Nebahat Akkoç, una donna coraggiosa che aiuta tutte quelle che ne hanno bisogno nonostante gli ostacoli che incontra. Il British Council e Kamer hanno organizzato una campagna per rafforzare nelle donne la consapevolezza della violenza e per aiutare quelle che ne hanno bisogno.

Come sottolineano sia Akkoç sia Kamer, ci sono molte donne in Turchia che subiscono forti pressioni da parte delle loro famiglie. Bisognerebbe creare dei centri a cui le donne possano rivolgersi nei momenti di difficoltà. E ci vorrebbero anche dei servizi di sostegno telefonico sempre attivi. Ma soprattutto il resto della società deve prendere atto del fatto che i delitti commessi dietro la maschera dell’onore non riguardano solo alcune frange della società, ma tutti i cittadini. Quello che ci serve è una rivoluzione culturale.

Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare. Se c’è qualcosa che richiede una stretta sorveglianza non sono le nostre ragazze e le donne turche, ma la mentalità tradizionale. È quella che dobbiamo cambiare.

Internazionale, numero 673, 21 dicembre 2006

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