10 maggio 2016 17:22
Nicolas Vadot

“La paura è senz’altro il tratto unificante dell’Europa in questo momento”. Tra chiusure delle frontiere, ascesa quasi ovunque di forze xenofobe e reazionarie, vigliaccherie dei vari governi nazionali (con l’eccezione di Angela Merkel sulla questione dei profughi), l’analisi del politologo Marc Lazar su la Repubblica, a commento dell’ultimo rapporto dell’istituto Demos, non lascia spazio a repliche. La paura è oggi il più grande denominatore comune in Europa ed è in larga parte il prodotto dell’ambiguità dei responsabili nazionali che proclamano di voler costruire l’Europa senza gettare basi reali per farlo. E così sono state messe in piedi delle strutture che possono funzionare con il bel tempo ma non hanno previsto niente se arriva una tempesta.

È stato fatto l’euro senza prevedere strumenti adeguati in caso di crisi economica e finanziaria. È stato approvato il trattato di Schengen senza pensare a come reagire in caso di flussi migratori intensi. L’allargamento a est (storicamente lodevole e politicamente indispensabile) è stato realizzato senza valutare le conseguenze di un cambiamento di tale proporzione della natura dell’Unione.

Perché tutto questo? Perché dotarsi di strumenti capaci di rispondere alle situazioni critiche avrebbe significato mettere in comune sempre più potere politico, cioè trasferire all’Unione una maggiore sovranità, in termine di politica economica, di polizia, di potere giuridico eccetera. La gran parte dei governi nazionali non è pronta, malgrado tutta la retorica europeista di cui si fa sfoggio.

Nascono proprio da qui l’incapacità a rispondere con efficacia alla sfide, la diffidenza verso le classe dirigenti, la paura come “tratto unificante dell’Europa” e il voto dato a partiti che propongono risposte inadatte, ma che permettono agli elettori di mandare un messaggio di protesta alle “élite” e di aggrapparsi a concetti che appartengono al passato (la nazione, la comunità, l’etnia) ma ancora oggi perfettamente riconoscibili.

Il deprimente quadro politico generale non deve farci dimenticare alcuni piccoli segnali di speranza

Questo significa che alla fine dobbiamo rassegnarci a vedere il trionfo dei postnazisti in Austria, di Le Pen in Francia, del tandem Salvini-Meloni in Italia?

Non c’è molto da sperare quando i dirigenti dei singoli paesi europei un giorno sventolano la bandiera nazionale davanti ai loro elettori e il giorno dopo giurano di sognare un’Europa più integrata, solidale e unita.

Però il deprimente quadro politico generale non deve farci dimenticare alcuni piccoli segnali di speranza. L’ultimo in ordine di tempo è l’elezione come sindaco di Londra del new-new-laburista Sadiq Khan contrario all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Pochi giorni prima c’era stata la vittoria dei Verdi con circa il 30 per cento dei voti nelle amministrative in Baden-Württemberg, regione tedesca iperindustrializzata dove i populisti dell’Alternativa per la Germania hanno ottenuto il 15 per cento. E poi il successo del candidato verde Alexander Van der Bellen al primo turno delle elezioni presidenziali austriache, che nel ballottaggio del 22 maggio affronterà il nazionalista Norbert Hofer.

Le opportunità perse dell’Italia

Di fronte a forze che puntano sulla difesa a priori del proprio territorio e sulla strumentalizzazione delle paure, emergono quindi forze nuove, in rottura con i vecchi partiti screditati (e questo potrebbe far pensare al Movimento 5 stelle in Italia) che sono favorevoli all’accoglienza dei profughi e che credono sinceramente nella costruzione europa. In breve, che offrono un orizzonte nuovo, un’alternativa e una politica coraggiosa e originale.

Per le sue posizioni verso i migranti e il suo euroscettismo, a tutt’oggi il Movimento 5 stelle non può dirsi parte di queste forze nuove. Forse in passato (al tempo di Alexander Langer) l’area radicale e verde avrebbe potuto costituire un’offerta politica sulla scena italiana simile a quelle che emergono oggi in Europa. Per motivi vari, politici, ma più spesso personali, quest’opportunità è sfuggita.

La vittoria dei partiti della paura non è comunque scontata. Tuttavia serve senz’altro una reinvenzione della politica, una risposta cha vada al di là dei proclami logorati e retorici delle istituzioni sul tema “ci vuole più Europa”, che poi rimangono lettera morta. Non è più l’epoca dei mille che s’imbarcavano per la Sicilia per realizzare l’unità d’Italia. Del resto, è difficile immaginare l’unità d’Europa senza la mobilitazione dei cittadini, la loro organizzazione e la loro determinazione.

Eric Jozsef è uno dei promotori dell’appello diffuso da VoxEurop Salviamo l’Europa!.

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