17 aprile 2013 15:40

Pochi minuti dopo l’esplosione delle bombe a Boston, Twitter, Facebook e YouTube sono stati inondati di immagini dell’attentato. Sono circolati video e foto agghiaccianti: fatti dai passanti con telefoni e videocamere, o da fotoreporter, o da fotografi di souvenir per i corridori o perfino dai corridori stessi. I responsabili dell’attentato contavano probabilmente proprio sulla diffusione di queste immagini: le maratone sono come dei monumenti pubblici al successo personale, il tipo di situazione che ci fa venir voglia di tirar fuori il telefono e fare un video. Chi ha organizzato l’attacco voleva che tutti lo guardassero.

Secondo il mio collega Dave Weigel queste immagini metteranno un argine alle teorie del complotto su questo caso. C’è già chi sostiene che è stato il governo ad architettare l’attentato, con l’aiuto dei servizi segreti. Ma a differenza dei complottisti del passato, quelli di Boston dovranno fare i conti con le foto e le descrizioni dei testimoni oculari.

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Si spera anche che tutte queste immagini aiuteranno le indagini della polizia. Le forze dell’ordine hanno chiesto ai cittadini di mandare per email foto e video della maratona. Mettendo insieme tutto il materiale, la polizia potrà risolvere il caso.

Spero che Weigel abbia ragione sul fatto che le immagini ci aiuteranno a contrastare le teorie dei pazzoidi su quello che è davvero successo a Boston. Ma io sono d’accordo con Amanda Marcotte, un’altra mia collega di Slate, secondo cui i cospirazionisti non si fanno scoraggiare tanto facilmente dalle prove concrete. Come ho scoperto scrivendo il libro

True enough, i complottisti partono spesso da un’idea vaga (di solito che non ci si può fidare del governo) e poi interpretano alcuni elementi per confermare la loro ipotesi.

Avere tante prove sulla scena del delitto non riduce il rischio di teorie stravaganti, anzi, a volte è vero il contrario: più immagini esistono, più opportunità hanno i cospirazionisti di trovare le “prove ignorate”.

Così i documenti originali finiscono spesso per confermare le teorie del complotto. Lo stesso effetto si è visto dopo l’11 settembre. Quando il secondo aereo si è abbattuto sul World trade center gli obiettivi delle troupe televisive e gli occhi di migliaia di persone erano incollati ai grattacieli. L’attacco alle torri gemelle è stato uno dei disastri meglio documentati della storia e una delle poche stragi avvenute in diretta televisiva (un altro è stato l’assassinio di Lee Harvey Oswald da parte di Jack Ruby).

Diversamente dall’uccisione di Kennedy, ripresa in un unico filmato di scarsa qualità, dell’11 settembre esistono così tante immagini da rendere impensabile che qualcuno possa mettere in dubbio i rapporti ufficiali, così come si è dubitato che Oswald avesse ucciso Kennedy da solo. Invece i sospetti sull’11 settembre sono venuti fuori fin da subito, e le foto sono state una fonte delle teorie complottiste.

In Loose change, un documentario sulle teorie del complotto sull’attacco al World trade center, si vedono moltissime fotografie che dovrebbero dimostrare l’implicazione del governo in quell’episodio. Certo, le immagini non dicono tutto (tante altre foto scattate l’11 settembre minano alla base le teorie cospirazioniste), ma questo non viene fuori dal film.

Lo stesso fenomeno si ripresenterà per le bombe di Boston. Le immagini delle scene successive a un attentato sono caotiche: persone e oggetti si trovano spesso in luoghi dove la loro presenza non sembra giustificata, soprattutto se le foto sono esaminate da dilettanti che non comprendono il contesto in cui sono state scattate.

Studiando abbastanza attentamente foto e video mossi e sfocati, gli scettici pensano di trovare particolari fuori posto. Guarda, c’è un uomo sul tetto di un palazzo: come mai? Quell’uomo con il completo di gabardine non sembra una spia? Una volta trovati dei dettagli che non tornano, i complottisti li collegano insieme fino a ricostruire la loro storia.

Anche la tecnologia può tornare utile ai maniaci della cospirazione: se compare un elemento che sembra confutare la loro teoria e che non si può liquidare tanto facilmente, se ne può sempre mettere in dubbio l’autenticità. Nell’era di Photoshop qualunque immagine può essere manipolata e quindi non bisogna mai fidarsi dei propri occhi.

I cospirazionisti dell’11 settembre hanno sostenuto spesso questa tesi. Ma la tattica è stata perfezionata fino a diventare un’arte sublime da coloro che hanno messo in discussione la cittadinanza statunitense di Barack Obama. Nessuna delle prove fornite dal presidente è riuscita a mettere fine al dibattito sulla sua nascita negli Stati Uniti, perché gli scettici hanno sempre un asso nella manica: possono dire che qualunque documento esibito è contraffatto.

Questo non significa che le immagini non siano preziose. Gli esperti che si stanno occupando delle indagini e che esamineranno tutto il materiale raccolto sulla scena degli attacchi di Boston hanno buone opportunità di trovare indizi che li condurranno ai colpevoli. Ma non aspettiamoci nulla di più. I cospirazionisti non perderanno le loro convinzioni. E le fotografie non potranno impedirgli di farlo.

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