08 agosto 2013 15:05

Se lavorassi al Washington Post, mi preoccuperei per una frase del messaggio scritto da Jeff Bezos ai dipendenti del giornale: “Non dirigerò il Washington Post su base quotidiana”, ha scritto il fondatore di Amazon.

Nel mondo dei miei sogni, Bezos ci ripenserebbe. Troverebbe qualche buco nella sua

agenda piena di impegni per individuare una nuova strada per il giornale. Se non su base quotidiana, almeno su base mensile, si sforzerebbe di fare per la stampa quel che ha fatto per il commercio: trovare il modo di reinventare un prodotto vecchio.

La mia è una speranza vana. Essendo un multimiliardario, il beneficio più ovvio e immediato che Bezos sta offrendo al Post è rappresentato dal suo portafoglio gonfio di banconote.

Quarto potere. La settimana scorsa la Washington Post Co. (proprietaria di Slate, che non sarà venduto nell’ambito di questo accordo) ha detto che nel primo semestre dell’anno il cartaceo ha registrato una perdita di esercizio di quarantanove milioni di dollari.

Questo risultato è stato in parte conseguenza dell’aumento delle spese di rescissione dei contratti dei dipendenti, ma la divisione cartacea perdeva un sacco di soldi da anni: 54 milioni nel 2012, 21 nel 2011, dieci nel 2010. Ogni anno questo passivo viene spiegato nello stesso modo: la tiratura e le inserzioni continuano a diminuire e le pubblicità online e i tagli al personale non compensano le perdite.

Bezos risolve il problema con la sua stessa presenza. In una scena di Quarto potere, un antagonista di Charles Foster Kane osserva che il magnate sta perdendo un milione di dollari all’anno nelle sue bizzarre attività giornalistiche. “Sì, esatto, ho perso un milione di dollari lo scorso anno”, ribatte Kane. “Perderò un milione di dollari quest’anno e conto di perdere un altro milione l’anno prossimo. Di questo passo sarò costretto a chiudere il giornale tra sessant’anni”.

Bezos batte di gran lunga Charles Foster Kane. Nella peggiore delle ipotesi, nel caso in cui i suoi titoli di Amazon non aumentino di valore e il Washington Post continui a registrare un disavanzo compreso fra cinquanta e cento milioni di dollari all’anno, Bezos sarà in grado di assorbire le perdite del giornale per almeno due secoli e mezzo.

D’altronde i miliardari non sono merce rara. Il vero valore di Bezos per il Post, il motivo per cui chi lavora nel mondo dell’informazione ha accolto questo accordo con stupore ma anche con ottimismo, non è rappresentato da quel che l’imprenditore ha nel portafoglio, bensì da quel che ha in testa.

Bezos ha tre caratteristiche particolari. Cerca senza sosta di soddisfare i suoi clienti, anche accettando un danno a breve termine per il bilancio della sua azienda. Ha una pazienza straordinaria ed è disposto ad aspettare per anni che una buona idea si sviluppi prima di pretendere un ritorno economico. Ma soprattutto Bezos è affascinato dai modelli aziendali innovativi e va costantemente in cerca di nuovi modi di vendere generi alimentari, servizi di cloud computing, cultura e qualunque altra cosa.

Al settore dei giornali servono tutte queste competenze. Ma ciò di cui la stampa ha più disperatamente bisogno è un nuovo modello aziendale. Per anni il dibattito è rimasto appiattito in modo deprimente su un unico aspetto: chiedere ai lettori di pagare l’accesso alle notizie o renderle gratuite? Oltre a essere ormai trita e ritrita, questa discussione non affronta neanche il problema principale che ha portato al declino del settore.

Un modello vecchio. Per decenni i quotidiani hanno fatto profitti mettendo insieme due tipi diversi di dati: le informazioni a basso costo e le notizie a costi più alti. Le informazioni (listini azionari, risultati sportivi, previsioni del tempo, elenchi degli eventi in programma in zona, ricette, oroscopi) erano molto richieste e produrle era facile e conveniente. Le notizie erano meno apprezzate, più costose da ottenere e spesso rischiose. Per certe inchieste i giornali potevano pagare giornalisti che per mesi inseguivano piste che alla fine non portavano da nessuna parte. Ma finché non si faceva un’inchiesta non si capiva se la notizia valeva o no.

Nonostante questa incertezza, i giornali erano imprese efficienti perché avevano il monopolio delle informazioni a basso costo. Finché il pubblico non ha avuto altri luoghi in cui pubblicare gli annunci economici e tutto il resto, i lettori e gli inserzionisti hanno continuato a pagare, sovvenzionando in maniera indiretta i contenuti seri.

Poi è arrivata internet e il monopolio è stato infranto. Il web ha liberato le informazioni a basso costo e, riducendo le spese di pubblicazione, ha permesso ai blogger di riprodurre in parte le attività di ricerca delle notizie che erano proprie della stampa. Ma non tutte queste attività sono state riprodotte: finora nessuno è riuscito a trovare il modo per fare profitto con il lavoro rischioso e costoso dei giornalisti d’inchiesta e dei corrispondenti dall’estero.

Sì, ci sono siti web che fanno qualcosa del genere, e Slate è uno di questi. Ma in generale, se i giornali si estingueranno, le notizie che ci arriveranno saranno meno approfondite che in passato. È questo il problema che Bezos potrebbe risolvere.

I trucchi del mestiere. Bezos è un maestro nell’individuare modi nuovi di vendere cose vecchie. Quando è stato lanciato il primo Kindle, l’imprenditore ha avuto la brillante idea di includere nel prezzo la connessione wireless, permettendo agli utenti di ignorare il costo del download quando acquistavano tanti libri. Poi Bezos ha messo in vendita una versione più economica del Kindle, finanziata con le pubblicità che comparivano sulla schermata di blocco. Il prodotto ha ottenuto un ampio gradimento, e così le inserzioni sono state inserite in tutti i Kindle con display E-ink.

Pensiamo ad Amazon Prime, che è un modo di far pagare le spese di spedizione in un colpo solo. Facendo sottoscrivere un abbonamento da 79 dollari per la spedizione gratuita, Bezos si trova in una posizione di vantaggio qualunque cosa accada. Lui incassa i vostri soldi anche se non comprerete mai più niente su Amazon. E in questo modo vi ricorderete di Amazon ogni volta che pensate di comprare qualcosa.

Ultimamente ho riguardato la cronologia dei miei ordini su Amazon. Prima del 2006, l’anno in cui mi sono abbonato a Prime, ho fatto meno di dieci acquisti all’anno sul sito. Prime ha cambiato completamente le mie abitudini di consumo. A un anno dall’inizio dell’abbonamento avevo chiesto quarantasei spedizioni su Amazon. Quest’anno la mia famiglia ha buone probabilità di riceverne quattro volte tante.

Che cosa ha fatto Bezos dopo aver creato un sistema di magazzini e una rete di spedizioni di prim’ordine? Li ha affittati ad altri commercianti, permettendo a chiunque di vendere i suoi prodotti attraverso il sito e anche di spedire dai depositi di Amazon. L’azienda riceve solo una commissione sulle transazione dei venditori terzi, ma visto che i magazzini e l’infrastruttura di trasporto erano già pronti all’uso, queste condizioni sono comunque vantaggiose. E il sistema è in rapido sviluppo, perché le vendite delle altre aziende stanno aumentando più velocemente di quelle di Amazon.

Bezos ha fatto qualcosa del genere anche con i suoi server. Per gestire le sue attività, Amazon ha dovuto creare una rete di macchine accessibili a tutti gli sviluppatori dell’azienda. Come il fondatore dell’azienda ha raccontato a Wired nel 2011, dopo averla realizzata “abbiamo capito che chiunque volesse progettare applicazioni per il web ne avrebbe avuto bisogno. Così abbiamo pensato che sarebbe bastato un po’ di lavoro in più per rendere l’infrastruttura accessibile a tutti. ‘La costruiremo comunque’, ci siamo detti, ‘quindi mettiamola in vendita’”.

Ripartire da zero. Niente di tutto questo ha direttamente a che fare con il settore dei giornali, ma queste idee mostrano come si rinnova un modello aziendale. La questione non è come il paywall. Se i quotidiani vogliono trovare un modo nuovo di registrare utili, dovranno considerare tutte le loro risorse (il talento del personale, i dati generati dai lettori, i camion che consegnano le copie fresche di stampa, l’accesso alle fonti) e capire come monetizzarle in modi che non sono mai stati sperimentati prima.

Jeff Bezos dovrà tenersi alla larga da qualunque modello commerciale che possa mettere a repentaglio l’integrità del Washington Post. Ma questo è scontato, e c’è spazio per innovare anche entro i confini dell’etica giornalistica.

O almeno io spero che ce ne sia, e che Bezos dedichi un po’ di tempo alla ricerca di queste innovazioni. So che ha un lavoro molto impegnativo, ma i quotidiani sono importanti tanto quanto le spedizioni in giornata. Bezos ha offerto una tregua al Post. Ma quello che serve davvero al giornale è un paio di idee da un miliardo di dollari.

(Traduzione di Floriana Pagano)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it