07 febbraio 2014 10:37

In Svizzera la battaglia per la depenalizzazione dell’aborto è durata a lungo, molto più a lungo che nel resto d’Europa. Iniziata ufficialmente nel 1971, con il lancio di una prima iniziativa popolare, si è conclusa solo nel 2002, quando il 72,2 per cento dei cittadini ha approvato per via referendaria il cosiddetto régime du délai (che introduceva la possibilità di interrompere una gravidanza fino alla dodicesima settimana senza dover dimostrare l’esistenza di un rischio grave per la salute della madre).

Anne-Marie Rey a quei trent’anni di lotta ha dedicato un libro, dopo averli vissuti in prima linea come co-presidente dell’Unione svizzera per la depenalizzazione dell’aborto (Uspda). Oggi aspetta con impazienza il risultato del referendum di domenica prossima. Dei tre quesiti, uno porterà sulla seguente proposta: “Il finanziamento dell’aborto è una questione privata - Sgravare l‘assicurazione malattie stralciando i costi dell’interruzione di gravidanza dall’assicurazione di base obbligatoria”.

(Comitato per l’aborto libero e gratuito - ALG)

In Svizzera l’interruzione di gravidanza è rimborsata dal 1981. Quell’anno l’aborto diventò gratuito, ma non libero, poiché era ancora regolamentato da una legge del 1942. “La legge federale era molto restrittiva. Nella pratica, però, le cose erano diverse”, spiega Anne-Marie Rey. “Il rischio grave per la salute psico-fisica della madre doveva essere confermato da due medici. Spesso erano gli psichiatri a dare il via libera, soprattutto in certi cantoni. Se il secondo medico non era d’accordo, bastava cambiare medico o cantone. In Svizzera quindi era già possibile abortire, ma a queste condizioni”. Il referendum del 2002 portava su due punti: la depenalizzazione dell’aborto e la conferma dell’obbligo di rimborso. “La grande novità era il primo punto: la donna sarebbe stata libera di abortire entro le prime dodici settimane di gravidanza. Non avremmo mai sperato di raggiungere il 72,2 per cento, fu un risultato straordinario”.

L’iniziativa di domenica, lanciata da un gruppo di parlamentari da sempre contrari all’interruzione di gravidanza (“fondamentalisti cattolici ed evangelici”, li definisce Rey), è il primo grande attacco alla legge del 2002. Mischiando argomenti ideologici ed economici, gli organizzatori sostengono che escludere l’intervento dall’assicurazione di base obbligatoria permetterà di risparmiare “tra gli otto e i venti milioni di franchi” (6,5-16,3 milioni di euro), oltre a far dormire sonni tranquilli a chi non accetta di “cofinanziare l’aborto!”. Non solo: “Nel nostro paese”, si legge sul sito dell’iniziativa, “circa il 50 per cento di tutti gli interventi abortivi sono eseguiti da cittadine straniere residenti in Svizzera. Se su 1.000 cittadine svizzere, in media 4,9 si sottopongono a un intervento abortivo, tra le cittadine straniere questa cifra sale a 12,0. Una differenza che fa nascere il sospetto che l’aborto sia usato come una sorta di contraccettivo gratuito”.

(Dal sito dell’iniziativa)

“È il tocco xenofobo dell’Unione democratica di centro”, spiega Rey. Il partito sostiene la campagna per il sì, anche se alcuni esponenti ne hanno preso le distanze. “Certo, sono soprattutto le donne straniere ad abortire”, continua Rey, “in Svizzera come nel resto d’Europa, semplicemente perché hanno meno familiarità con la contraccezione e con l’educazione sessuale, hanno più difficoltà ad accedere ai servizi sanitari e vivono in condizioni di maggiore precarietà”.

**Contro l’iniziativa **”L’aborto è una questione privata” sono nati comitati e collettivi nei vari cantoni del paese. Amanda Ioset, del Partito operaio popolare, vive nel cantone di Neuchâtel, dove il suo partito fa parte del collettivo “Retour en arrière, non!”, coordinato dalla sezione locale della Marcia mondiale delle donne. A 23 anni, Amanda ricorda poco del referendum del 2002. Di quello di domenica dice: “Non è stato una sorpresa, gli organizzatori hanno sempre detto che avrebbero continuato a battersi contro il diritto d’aborto. Sono anni che li sentiamo fare questi discorsi”. Le sorprese, per lei, sono state altre: “È la prima volta da quando faccio politica che mi ritrovo in un comitato insieme a donne di destra. Evidentemente su questo punto la vediamo allo stesso modo. E mi ha stupito anche la mobilitazione dei giovani, ragazze e ragazzi”.

Manifestazione a Losanna il 18 gennaio (dal sito del Collettivo per la libertà di aborto e contraccezione)

A tre giorni dal voto, entrambe sono ottimiste. “Sono convinta che l’iniziativa sarà respinta, ma bisognerà vedere con quanti no”, dice Anne-Marie Rey. “Dubito che raggiungeremo il 72 per cento del 2002. Dipenderà tutto da quante persone crederanno all’argomento del risparmio”. Argomento campato in aria, dato che gli aborti in Svizzera incidono per lo 0,03 per cento delle spese dell’assicurazione di base obbligatoria. “Il risultato di domenica sarà importante”, conferma Amanda. “Se vinciamo solo con il 55 per cento, sarà visto come un passo indietro. La nostra fortuna è che gli organizzatori del referendum sono stati poco furbi: hanno usato argomenti economici per attaccare il diritto all’interruzione di gravidanza, ma ogni volta che hanno difeso la loro posizione pubblicamente, in televisione o alla radio, hanno lasciato intendere che dell’aspetto economico non gliene importava nulla. Secondo me chi avrebbe potuto farsi convincere da un discorso neoliberista - ognuno paga per sé - non si lascerà ingannare e voterà no”.

**Ridurre i finanziamenti **per ostacolare il diritto d’aborto: la strategia ricorda quella usata dagli organizzatori dell’iniziativa cittadina europea “Uno di noi”. Per questo, conclude Rey, “è sbagliato parlare di un’ondata conservatrice in Europa. Gli antiabortisti non sono più numerosi di prima, sono solo più organizzati e sfruttano meglio i nuovi mezzi di comunicazione. E hanno lanciato un’azione a livello internazionale contro il diritto d’aborto, importando dagli Stati Uniti argomenti, tattiche e finanziamenti”. Per capire con chi abbiamo a che fare, ecco due siti dal contenuto esplicito. Il primo è quello dell’American Center for Law and Justice (Aclj), studio legale senza fini di lucro fondato nel 1990 dal pastore evangelico Pat Robertson. Nel 1997 hanno aperto un ufficio in Europa, il European Centre for Law and Justice (Eclj), con sede a Strasburgo. Proprio ieri è uscito un loro comunicato, intitolato: “Il declino del ‘diritto’ d’aborto in Europa”.

Aggiornamento: domenica l’iniziativa “L’aborto è una questione privata” è stata respinta con il 69,8 per cento dei voti. Nel cantone di Neuchâtel il no ha raggiunto l’83,8 per cento. Qui i risultati ufficiali cantone per cantone.

Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale. Su Twitter: @ettaspin

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