15 maggio 2016 12:10

È un vero piacere vedere un grande film girato da uno dei registi habitué del festival di Cannes: Ken Loach. Il suo I, Daniel Blake tocca nel profondo ed è un perfetto manifesto dell’era di Jeremy Corbyn e Bernie Sanders. Lo sfondo politico, lasciato fuori campo, s’impone, a prescindere dalle intenzioni di Loach. Questo succede quando i vecchi rappresentano il nuovo.

Daniel Blake, anziano vedovo, è un carpentiere, un uomo che lavora con le mani e suda dalla fronte. L’informatica è per lui un mondo sconosciuto. Parla in modo sincero, ha il temperamento forte ma il cuore delicato. Ha avuto un attacco cardiaco e il medico gli ha proibito di riprendere il lavoro.

La macchina burocratica dell’assistenza sociale pero non è d’accordo. Macchina esemplificata fin dall’inizio, a schermo ancora nero e titoli di testa: il duetto di dialoghi tra Blake e la funzionaria dell’amministrazione ha qualcosa di robotico e comicamente surreale, se non fosse terribilmente tragico. Ricorda perfino la rigidità dei doganieri di Non ci resta che piangere.

Pian piano Blake precipita inesorabilmente nella non dignità. Il film è una rivendicazione, quasi un urlo, contro questa deriva. E il titolo lo esprime al meglio, con quell’Io seguito dal nome e cognome del protagonista. I, Daniel Blake è un rovesciamento dell’individualismo reagan-thatcheriano in funzione rooseveltiana e socialista.

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Blake si scontra contro tutte le meccaniche e le leggi, e coloro che ciecamente le servono, ormai incapaci di capire la sostanza dell’umano. Mentre Blake rappresenta l’umano in maniera prorompente: è l’incarnazione di questa grandezza nella semplicità e nell’umiltà. Ma la macchina è implacabile, è un folletto che ci entra in casa, o nel nostro computer, e fa dispetti. Per questo Blake è costretto a combattere contro i continui intralci burocratici che cercano di ributtarlo a terra.

Blake fa amicizia con una giovane madre non sposata, anche lei in difficoltà e costretta a calpestare la propria dignità per preservare quella dei figli. Se è chiaro il riferimento alla classe media e alla classe operaia che stanno sprofondando, il regista britannico non è manicheo: ci sarebbero dei burocrati diversi, più umani, ma la macchina li sovrasta.

È evidente la metafora con la macchina tecnocratica internazionale, non solo quella di Bruxelles, incapace di essere al servizio delle persone. Ma Blake oppone la forza del suo essere umano e si trasforma in agit-prop, al fine di rendere pubblica la propria condizione. La testimonianza di dignità sopravvive sempre. Anche all’uomo stesso.

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