12 luglio 2016 17:27

È uno strano e difficile mestiere quello di portavoce della Santa Sede: sempre con il rischio che una parola di troppo finisca sulla stampa di mezzo mondo, costantemente al centro dell’attenzione e in stato d’allerta perché anche nelle giornate più normali può succedere qualcosa di imprevisto, in qualche angolo del mondo, in grado di convogliare sugli uffici di via della Conciliazione l’attenzione dei mezzi d’informazione.

D’altro canto è vero anche il contrario: la Santa Sede – sempre sotto il riflettori – fa pagare a volte il suo contrappasso alla stampa. Per esempio rendendo note delle nomine di rilievo, un motu proprio del papa sulle finanze d’Oltretevere, una canonizzazione eccellente, proprio in quel sabato, in quel martedì, in cui tutti eravamo sicuri non sarebbe uscito niente nel fatidico bollettino delle 12. È il classico contropiede di chi, spesso costretto in difesa nella propria area di rigore, rilancia appena la squadra avversaria rifiata e così riapre costantemente la partita.

In questo periodo tra i più turbolenti della vita della chiesa nell’epoca moderna, si è trovato a guidare la comunicazione vaticana padre Federico Lombardi, gesuita, chiamato a ricoprire l’incarico da Benedetto XVI nel luglio del 2006. Da quando si è diffusa la notizia del termine del suo mandato a partire dal 1 agosto, gli attestati di stima e di amicizia si susseguono da parte di giornalisti di tutto il mondo, un fatto anomalo, di certo non comune.

Lombardi del resto ha imposto a una realtà in cui si susseguivano inevitabili i colpi bassi – da una parte la stampa che provava a dare l’assalto alle mura leonine, dall’altra il Vaticano che cercava sempre di occultare le notizie più scabrose o negative - la regola del fair play: ce le possiamo dare di santa ragione, fa parte del gioco, ma poi ci stringiamo la mano e in ogni caso non deve mai venir meno il rispetto. Non solo: l’orrenda espressione tanto in voga retoricamente tra i politici di oggi, “io ci metto la faccia”, è stata una regola del rapporto di Lombardi con i giornalisti, e infatti non ha dovuto mai enunciarla, l’ha messa in pratica.

Non è stata una passeggiata essere il portavoce del papa confratello che vuole cambiare la chiesa

Il gesuita Lombardi in alcuni casi è di certo stato travolto dagli eventi, ma era sempre lì, quasi disarmante qualche volta, tra un maggiordomo che rubava le carte dal tavolo del papa, i cardinali che litigavano su chi l’avesse fatta più grossa nel gran pasticcio della revoca delle scomuniche ai vescovi lefebvriani (e si ricorda in quell’occasione, lo scontro fra il porporato ultraconservatore Dario Castrillón Hoyos e il portavoce vaticano, conflitto che ebbe poi un seguito sullo scandalo degli abusi sui minori), o quando Benedetto XVI, non esattamente un comunicatore, faceva scoppiare una lite con il governo messicano o con l’università islamica sunnita del Cairo, Al Azhar.

Non che con Francesco sia andata liscia: Bergoglio, con perizia, cioè con metodo mascherato da casualità, smonta ogni volta che può l’infallibilità del papa, parla con tutti, dice frasi a metà, conversa con i giornalisti, discute con Scalfari che riporta le cose come se le ricorda, manda a quel paese il sindaco di Roma e Donald Trump, convoca degli amici argentini che poi escono dalla residenza di Santa Marta e riferiscono: “Il papa ha detto che…”. Non è stata una passeggiata insomma, nemmeno essere il portavoce del papa confratello che vuole cambiare la chiesa.

E in effetti Lombardi, naif per vocazione, per scelta, quasi per una sorta di piccolo snobismo nell’epoca della “professionalità” stentorea e a volte un po’ vuota (per altro il suo vero amore è stato la Radio Vaticana, che ha diretto a lungo e di cui ha parlato sempre con entusiasmo), è stato anche uno dei testimoni più lucidi, per quanto nell’ombra e senza darlo troppo a vedere, della storia di questi anni. Con la Santa Sede infatti s’impara – se si ha voglia di capire – qualcosa del proprio tempo, un principio che vale in primo luogo per i giornalisti.

È naturale che il Lombardi serafico non avesse una risposta per tutti e su ogni quesito, troppe materie e troppi problemi si sono accavallati tremendamente: lui stesso ha ripetuto in queste ore che lo scandalo pedofilia è stato il “momento più difficile”. Ed è il caso di insistere su questo aspetto, perché dal punto di vista culturale e politico, ma diremmo anche ecclesiale, è qui che si è giocata una partita decisiva fra tradizionalisti e innovatori.

Sembra un po’ un Cencelli vaticano, ma c’è anche la novità evidente: due laici, una donna, due che i mezzi d’informazione li conoscono

La trasparenza, evocata spesso in Vaticano per le materie economiche (dove però si articola essenzialmente in regole, organismi, soluzioni tecniche), nell’ambito degli abusi sui minori diventa un tema etico che richiama i valori stessi del Vangelo e il senso della missione della chiesa. In questo caso chi, come Lombardi, ha lavorato per un rapporto corretto con i mezzi d’informazione su una materia tanto ostica e problematica, intendeva scardinare anche l’idea di una segretezza che diventava estraneità alla legge, delineando una forma di potere assolutista e a volte oppressivo dentro la chiesa (valga per tutti il racconto del film Spotlight). Insomma il tema è cruciale. Senza contare che i più lungimiranti si rendevano conto di come la credibilità fosse l’unica vera moneta sulla quale può contare la Santa Sede se non vuole affogare negli scandali.

Ora arrivano Greg Burke, ex Fox news, Opus dei come già Joaquin Navarro Valls, e Paloma García Ovejero, corrispondente da Roma per la radio spagnola Cope, della Conferenza episcopale iberica. A vederla così sembra un po’ un Cencelli vaticano, un riequilibrio di forze e poteri, ma c’è anche la novità evidente: due laici, una donna, due che i mezzi d’informazione li conoscono, due di noi insomma, verrebbe da dire. Tuttavia l’eredità lombardiana non è semplice da gestire, non perché il suo decennio non abbia provocato anche qualche comprensibile mugugno, ma è il fattore umano a fare la differenza e la cultura intesa come sensibilità e non come ostentazione. Una lezione per tutti i portavoce, e non solo, “che contano”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it