01 dicembre 2015 12:27

Penso che in ogni altro paese dell’Unione europea una dichiarazione come quella di Giuliano Poletti sarebbe stata giudicata come scontata. Non così in Italia, dove il ministro del lavoro è stato oggetto di rabbiosi attacchi da parte della Cgil. Qual è stata la frase che ha provocato un lungo strascico di polemiche? Eccola: “L’ora lavoro non può essere l’unico parametro per misurare il rapporto tra lavoratore e opera realizzata, viste le novità che avanzano nel mondo. L’ora-lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l’innovazione”.

Una verità sacrosanta. Non certo per la segretaria della Cgil, Susanna Camusso: “L’idea del ministro è che non ci siano più regole per i diritti dei lavoratori. Ma lui non sa com’è fatto il lavoro, che rapporto c’è tra la fatica e il tempo che lavori. Per qualche ora ci siamo augurati che fosse uno scherzo e che quindi sarebbe arrivata una smentita ma non è stato così. A questo punto restano solo due ipotesi, o il ministro non sa cosa vuol dire il lavoro oppure ha deciso che i lavoratori non debbano avere più né una giusta retribuzione né diritti contrattuali”. Per il segretario della Fiom, Maurizio Landini, le parole di Poletti sono “un’offesa alle persone che lavorano e che sono retribuite troppo poco”.

L’attacco della Cgil ha indotto molti mezzi d’informazione a dedicare ampi spazi alle nuove forme di lavoro nate negli ultimi anni. Sarcastico l’editoriale della Stampa: “Mentre politica, Cgil, Cisl e Uil litigano sul ventesimo secolo, la nostra vita quotidiana li ha già lasciati indietro ed è saldamente piantata nel ventunesimo”.

L’attacco a Poletti potrebbe essere letto come la reazione allergica di un sindacato che sta perdendo influenza politica e iscritti

Molti critici hanno ricordato alla Cgil i cambiamenti radicali del mondo del lavoro, dalle isole di montaggio della Ducati allo smart working, dal lavoro in rete a quello freelance. E hanno raccontato le storie di aziende come la Tetra Pak che hanno abolito il cartellino da timbrare. Da quelle che introducono il congedo retribuito per i neopadri a quelle come Luxottica che aiutano i figli dei dipendenti a studiare.

Se la prende con la Cgil perfino il segretario dei metalmeccanici della Cisl, Marco Bentivogli: “Solo chi gira al largo delle fabbriche non sa che per molti lavoratori italiani la dimensione spazio temporale di quella che si chiamava la ‘prestazione lavorativa’ è già radicalmente cambiata: lavoro agile e smart working si stanno diffondendo a una velocità incredibile soprattutto nelle imprese più innovative e competitive”.

Bentivogli ne ha anche per Landini: “La Fiom è rimasta legata a un’idea del lavoro industriale che andava bene negli anni cinquanta. Semmai oggi bisogna fare in modo che il contratto nazionale non sia d’ostacolo alla definizione di contratti aziendali e territoriali”. E critica severamente l’atteggiamento della Cgil: “È un’alzata di scudi che per me non ha senso, perché così si perpetua solo una sensazione di stato d’assedio al limite del ridicolo”.

Ma l’attacco della Cgil al ministro Poletti può essere interpretato anche come la reazione allergica di un sindacato che per decenni ha avuto un fortissimo potere di contrattazione e ha potuto mettere sotto pressione i governi minacciando scioperi e manifestazioni con centinaia di migliaia di partecipanti. Ora sta perdendo influenza politica e iscritti. Da un documento interno risulterebbe un calo di 700mila iscritti in un solo anno. La Cgil parla di “dati parziali”. Altro problema del principale sindacato italiano – e il più ideologico – è lo strapotere dei pensionati, che con 2,6 milioni di iscritti sono una netta maggioranza. Loro stanno già godendo il diritto alla pensione e certamente non sono particolarmente interessati a nuove forme di lavoro.

Inoltre nella popolazione italiana la fiducia nei sindacati è in continuo calo. Secondo un sondaggio di Community Media Research solo il 18 per cento degli italiani è convinto che “i sindacati tutelano gli interessi dei lavoratori”. Per il 41,5 per cento “sono come i partiti”. Per il 40 per cento degli italiani il paese senza sindacati starebbe “allo stesso modo,” per un terzo starebbe meglio. La Cgil è un sindacato di vecchio tipo che sembra incapace di comprendere le dinamiche dei nuovi lavori.

Agisce con il sindacalismo tradizionale della retorica. Ma Susanna Camusso non se la prende solo con il ministro del lavoro. Annuncia anche un ricorso in sede europea contro il jobs act. Perché secondo la segretaria Cgil il mercato del lavoro dovrebbe orientarsi ancora a quello statuto dei lavoratori varato nel 1970 quando non esistevano né cellulari né computer e quelli che oggi cercano di organizzarsi in nuove forme di lavoro non erano neanche nati.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it