19 marzo 2016 12:43

Si è conclusa poco prima delle 17 di venerdì, dopo 127 giorni di fuga e poco lontano da dove era cominciata, l’epopea terroristica di Salah Abdeslam, l’unico superstite del commando jihadista che aveva seminato il terrore a Parigi il 13 novembre scorso, provocando 130 morti e oltre 300 feriti.

Abdeslam è stato ferito e catturato dalla polizia belga in un appartamento di Molenbeek, il quartiere di Bruxelles da dove era partito il 12 novembre scorso insieme agli altri otto autori degli attacchi compiuti il giorno dopo nella capitale francese, e dove era tornato nel corso della notte, dopo essersi sbarazzato della cintura esplosiva che avrebbe dovuto azionare.

Insieme a lui sono state arrestate altre quattro persone, fra le quali Amine Choukri (rimasto ferito nello scontro a fuoco con la polizia), Sihane A. e Djemila M. Le ultime due facevano parte della famiglia che aveva nascosto Abdeslam nelle ultime settimane. Una quinta persona, appartenente alla stessa famiglia, Abid Aberkan, è stata arrestata poco prima a Jette, un altro quartiere di Bruxelles. Il giorno prima, Aberkan aveva preso parte ai funerali di Brahim Abdeslam, fratello minore di Salah, che si era fatto saltare in aria a Parigi. “Seguendo Aberkan, gli inquirenti sono risaliti ad Abdeslam”, scrive La Libre Belgique.

La tensione tra Bruxelles e Parigi si attenua

L’arresto di Salah Abdeslam, ritenuto il responsabile della logistica degli attentati di Parigi, è intervenuto al termine di un’operazione congiunta della polizia belga e di quella francese cominciata quattro giorni prima, con l’intervento delle forze dell’ordine contro un covo jihadista di Forest, a Bruxelles.

Nel corso dell’intervento, cominciato come una perquisizione ordinaria, Mohamed Belkaid, un presunto terrorista, è stato ucciso e altri due uomini, fra i quali probabilmente Choukri, sono riusciti a scappare, e tre poliziotti sono rimasti feriti.

Nell’appartamento sono stati trovati dei suoi documenti, insieme a delle armi, delle munizioni, un libro di propaganda salafita, una bandiera dell’organizzazione Stato islamico (Is), e delle tracce di dna di Abdeslam su un bicchiere, prova che il latitante poteva essersi nascosto nell’appartamento di recente. A inizio di gennaio una sua impronta digitale era stata trovata in un appartamento di Schaerbeek, un altro quartiere di Bruxelles.

Al termine delle operazioni, il 18 marzo, il premier belga Charles Michel e il presidente francese François Hollande hanno espresso soddisfazione per il loro esito e hanno spiegato che l’arresto del ricercato numero uno in Europa è il frutto di quattro mesi di indagini congiunte, durante le quali “sono state compiute oltre cento perquisizioni e arrestate 58 persone”.

Hollande ha aggiunto che Abdeslam, nato a Bruxelles, ma cittadino francese, sarà giudicato in Francia. Nella mattinata di sabato Abdeslam e Choukri sono stati trasferiti nella sede della polizia giudiziaria per essere interrogati.

Con l’arresto di Abdeslam si chiude anche la tensione politica e diplomatica scoppiata tra la Francia e il Belgio all’indomani degli attentati del 13 novembre. Parigi ha per molto tempo accusato le autorità e la polizia di Bruxelles di inefficienza e di aver chiuso un occhio sulle cellule radicali che da anni si erano stabilite nei quartieri popolari di Bruxelles.

Accuse non del tutto infondate, anche se la polizia francese non è senza colpa: la notte dell’attentato Abdeslam insieme a due complici, Mohammed Amri e Hamza Attoui, erano stati controllati ben tre volte dalla polizia francese sulla via del ritorno senza mai essere fermati.

All’indomani degli attacchi di Parigi la stampa francese (e non solo) si era scatenata contro il Belgio, colpevole di essere diventato “la culla del terrorismo europeo”, “una fabbrica di jihadisti”, “un paese senza stato” o “il Belgikistan”, grazie all’incompetenza delle forze dell’ordine, al cinismo dei suoi politici e alla complessità dell’organizzazione dello stato – dimenticando che gli scarsi successi della lotta al terrorismo in Europa sono innanzitutto dovuti alla mancanza di collaborazione tra le forze di sicurezza, sempre gelose delle loro prerogative e restie a condividere le informazioni.

Gli inviati del mondo intero parlavano di Molenbeek (che si pronuncia Molenbêk) come della nuova Raqqa e poco mancava che registrassero i loro servizi dalla piazza del mercato del comune, indossando i giubbotti antiproiettile con la scritta “Press”. La reputazione di Bruxelles come base europea dell’Is, giunta al culmine nei giorni di massima allerta terrorismo, era tale che dei conoscenti di Caserta parlavano con rispetto e timore dei coraggiosi abitanti della capitale belga.

Per il piccolo e disorientato Belgio l’arresto di Salah Abdeslam è un modo per recuperare un po’ dell’onore perduto, ma le reti che hanno consentito al latitante di sfuggire agli inquirenti per quattro mesi devono ancora essere smantellate.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it