17 ottobre 2014 14:19

Appunti da Verità e politica di Hannah Arendt (Bollati Boringhieri 1995), uscito per la prima volta sul New Yorker il 25 febbraio 1967.

Nessuno ha mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto cattivi l’una con l’altra e nessuno, che io sappia, ha mai annoverato la sincerità tra le virtù politiche.

Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche dello statista.

Probabilmente nessuna epoca passata ha tollerato tante opinioni diverse su questioni religiose o filosofiche; la verità di fatto, però, qualora capiti che si opponga al profitto o al piacere di un dato gruppo, è accolta con un’ostilità maggiore che in passato.

Fatti e opinioni, benché debbano essere distinti, non sono opposti, appartengono allo stesso ambito. I fatti informano le opinioni e le opinioni, ispirate da differenti interessi e passioni, possono differire molto e rimanere legittime fino a quando rispettano la verità di fatto.

La libertà di opinione è una farsa tranne quando l’informazione fattuale è garantita e i fatti stessi non sono in discussione.

Ma esistono fatti indipendenti dall’opinione e dall’interpretazione? Generazioni di storici e di filosofi della storia non hanno forse dimostrato l’impossibilità di constatare dei fatti senza interpretarli, poiché essi devono prima di tutto essere individuati ed estratti da un caos di puri avvenimenti, e in seguito essere inseriti in una storia che non può essere raccontata se non da una certa prospettiva, la quale non ha nulla a che vedere con ciò che è accaduto in origine?

Senza dubbio, queste e moltissime altre difficoltà inerenti alle scienze storiche sono reali, ma esse non costituiscono un argomento contro l’esistenza della materia fattuale, né possono servire come giustificazione per offuscare le linee di demarcazione tra un fatto, una opinione e una interpretazione, o servire allo storico come una scusa per manipolare i fatti a suo piacimento.

È stato frequentemente osservato che il più sicuro risultato, a lungo termine, del lavaggio di cervello è un particolare tipo di cinismo, un rifiuto assoluto di credere nella verità di qualunque cosa, non importa in che misura possa essere stabilita questa verità.

In altre parole, il risultato di una coerente e totale sostituzione di menzogne alla verità di fatto non è che ora le menzogne saranno accettate come verità e che la verità sarà denigrata facendone una menzogna, ma che il senso grazie al quale ci orientiamo nel mondo – e la categoria di verità versus falsità è tra i mezzi mentali a tal fine – viene distrutto.

Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2014 a pagina 7 di Internazionale, con il titolo “Verità”. Compra questo numero | Abbonati

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