26 gennaio 2017 15:41

“Ho una guerra in corso con i mezzi d’informazione”, ha detto Donald Trump il giorno dopo l’insediamento. E parlando dei giornalisti ha aggiunto: “Sono tra gli esseri umani più disonesti della Terra”. Somiglia molto a una resa dei conti. Negli Stati Uniti una stampa indebolita da una crisi di credibilità di cui essa stessa è in larga misura responsabile si scontra duramente con un politico che fa della rottura violenta degli schemi uno dei suoi cavalli di battaglia. Attaccare i giornalisti contribuisce ad aumentare la popolarità di Donald Trump, che ha bisogno dei mezzi d’informazione come un pugile ha bisogno di un sacco da boxe per allenarsi.

I giornali sono rimasti intrappolati in una profezia che rischia di autoavverarsi, a forza di ripetere ossessivamente che sono in crisi e che stanno per chiudere, mentre vent’anni dopo l’arrivo del web molti sono ancora lì, spesso in discreta salute nonostante la crisi economica, la bolla della pubblicità e l’eccesso d’informazioni da loro stessi generato su internet.

Per riannodare il rapporto di fiducia con i lettori e le lettrici, che poi è l’unica salvezza per i giornalisti – e non solo per quelli statunitensi – bisognerebbe cercare di fare due cose. Da una parte evitare di demonizzare Trump, e con lui le tantissime persone che l’hanno votato: il nuovo presidente va giudicato, anche severamente, sulla base delle sue decisioni concrete (e nei primi giorni alla Casa Bianca ne ha già prese di molto gravi). Dall’altra bisognerebbe uscire di più dalle redazioni, per ricominciare ad ascoltare e a raccontare il mondo che ci circonda.

Questa rubrica è stata pubblicata il 27 gennaio 2017 a pagina 5 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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