16 ottobre 2014 17:38

David Van Reybrouck, Congo
Feltrinelli, 684 pagine, 25

La speranza che almeno lì, in futuro, le cose possano andare diversamente, che in quel continente si possa costruire un’alternativa alla crisi che ha colpito in modo fortissimo gran parte del resto del mondo è alla base di un crescente interesse occidentale per l’Africa.

Ma questa diffusa attenzione spiega solo in parte perché questa voluminosa storia del Congo dalla preistoria a oggi (particolarmente attenta al periodo coloniale e postcoloniale), scritta da un belga che ha meno di quarant’anni, stia vendendo moltissime copie e sia stata tradotta in sette lingue.

Alla base del successo del libro, tuttavia, ci sono anche e soprattutto la sua costruzione, basata sul montaggio di interviste con testimoni vecchi e giovani, le cui informazioni sono verificate con attenzione, la scrittura appassionata e brillante, e infine la scelta dell’oggetto di studio, mossa dall’idea che la vicenda del Congo possa essere un buon modo per capire non solo lo sfruttamento coloniale, ma su un piano più in generale il drammatico rapporto tra gli uomini che abitano la terra e le risorse di cui hanno bisogno.

Dalla ricostruzione di Van Reybrouck emerge infatti l’istruttiva vicenda di un uso sistematicamente perverso delle molte ricchezze del paese (oro, diamanti, schiavi, gomma, uranio, coltan): per queste si è massacrato a intervalli regolari, per queste oggi i congolesi stanno peggio che mai.

Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2014 a pagina 90 di Internazionale, con il titolo “Storie nere”. Compra questo numero | Abbonati

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