18 dicembre 2014 20:58

Hans Belting, Facce
Carocci, 376 pagine, 36 euro

La faccia è la figura più chiara dell’individualità di ognuno, ma è anche ciò che tutti condividiamo e che usiamo per riconoscerci e comunicare, prima o invece di parlare. Forse è per queste ragioni che il social network più infestante e di successo si chiama così. Viene da pensarlo leggendo questo libro. Belting, uno storico dell’arte che più di altri ha cercato di trasformare dall’interno la propria disciplina per farle superare i confini tradizionali, tenta di costruire una storia culturale della faccia.

La fonda sulla distinzione tra due tipi ideali: la maschera, ovvero la faccia quando viene fissata in modo immutabile in un manufatto o in una figura stereotipata: il volto, la faccia impossibile da fissare perché sempre cangiante e mutevole, l’unica capace di restituire davvero il carattere di qualcuno. Così Belting parte dalla preistoria per riscrivere la storia del ritratto, che a partire dal rinascimento sembra restituire individualità e che invece produce nuove maschere. Per questo alcuni artisti, da Rembrandt fino a Bacon, cercano modi nuovi di cogliere il volto e provare a invertire la tendenza.

Qualcosa di simile, secoli dopo, avviene con la fotografia, che fissa i volti delle persone in maschere riuscendo a isolarne un solo istante. E in seguito con gli altri mezzi d’espressione che dopo aver consumato i volti cominciano a consumare anche le maschere a cui li hanno ridotti.

Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2014 a pagina 84 di Internazionale, con il titolo “Il libro delle facce”. Compra questo numero | Abbonati

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