11 dicembre 2016 18:00

John Berger e Selçuk Demirel_, Smoke_
Il Saggiatore, 70 pagine, 9 euro

Questa favoletta paradossale che ha scritto John Berger, facendosi aiutare in modo sostanziale da Selçuk Demirel, un illustratore turco che vive in Francia, è anche soprattutto l’espressione del disagio di accettare in modo ineluttabile le regole del mondo in cui viviamo. Il fumo, giustamente stigmatizzato come un comportamento che espone a grossi rischi la nostra salute, diventa nel racconto di Berger il segno di un’umanità passata e rimpianta, di un’epoca più inconsapevole, ma anche più serena e solidale, quella della società industriale in cui tutti oltre a fumare contribuivano a far fumare le fabbriche.

Quella società è finita. Del fumo oggi si parla solo male, come di una perversione individuale e nociva, ma il fumo continua a esistere e a far danni, quando esce dai tubi di scarico delle auto truccate per alterare i valori delle emissioni nocive, dalle navi da crociera, da fabbriche che sono in terre più lontane, ma che contribuiscono da lì a produrre danni anche per noi. È come se, sembra suggerirci Berger, qualcosa che faceva parte del nostro paesaggio e che avevamo gli strumenti per affrontare fosse stato eliminato solo in apparenza, senza produrre reali effetti benefici sulla salute e generando invece, per mezzo dell’invenzione di una nuova categoria di esclusi e di stigmatizzati, una nuova infelicità.

Questa rubrica è stata pubblicata il 2 dicembre 2016 a pagina 102 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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