14 gennaio 2015 12:25

Amos Oz, Giuda
Feltrinelli, 330 pagine, 18 euro

Oz non è soltanto il miglior scrittore israeliano di oggi (Yehoshua si è infiacchito, Grossman non li ha mai raggiunti), è anche uno dei migliori in assoluto nel mondo. E il suo Giuda è ancora una volta una riflessione, una delle più convincenti, sulla storia di Israele e sulle sue immani contraddizioni.

Ambientato tra 1959 e 1960, non molti anni dopo la guerra e la fondazione dello Stato d’Israele e dentro una crisi narrata con rara onestà e intelligenza, ha due piani di racconto. Il primo è quello di un giovane intellettuale povero, chiamato ad assistere un vecchio intellettuale, che s’innamora della nuora di lui: un’avvolgente vicenda di sentimenti e di idee, una progressiva lezione di storia della fondazione che racconta le difficoltà di uno stato e di un popolo, e le ragioni dei loro nemici.

L’altro piano è quello degli studi del protagonista sui modi in cui gli ebrei hanno visto la figura di Gesù e lo hanno o non lo hanno riconosciuto, sulla storia che per loro ne è conseguita, e sulla figura di Giuda, sulla sua grandiosa ambiguità e sull’ambiguità di altri e recenti “tradimenti” politici (“nella storia compaiono persone coraggiose che precorrono i tempi e per questo vengono chiamate traditori oppure pazzoidi”). I diversi piani del racconto sono intrecciati da un grande narratore di salde convinzioni etiche, che non accetta i ricatti della politica e vuole discutere e ridiscutere quelli della storia.

Questo articolo è stato pubblicato il 9 gennaio 2015 a pagina 76 di Internazionale, con il titolo “Il coraggio di tradire”. Compra questo numero | Abbonati

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