20 novembre 2016 17:29

Denis Johnson, Mostri che ridono
Einaudi, 222 pagine, 19 euro

Da un paese all’altro al seguito di un padre legato alla Cia, Denis Johnson ha capito molto del mondo. I suoi romanzi piacciono a tanti. C’è chi vede in lui un erede di Conrad, di Greene o del Le Carré africano ma dimenticando Crichton e Wilbur Smith, e che i maestri avevano una morale ben più solida della sua nell’affrontare il male portato in Africa dall’Europa e dagli Stati Uniti.

Denis Johnson scrive di intrighi spionistici di oggi con una conoscenza del mondo non invidiabile per il cinismo che veicola. Allievo di Carver, è soprattutto bravo nei racconti. Passato da Feltrinelli a Mondadori e a Einaudi, raggiunto lo statuto di scrittore che piace ai critici, ai colleghi più in, ai giurati dei premi, al mercato e ai giovanotti postmoderni (ai quali piace quasi tutto), manipola con sapienza i generi più avventurosi, è veloce e sapiente e molto cinico come esigono le sue storie movimentate, rapide, spericolate in cui si identifica con gusto in personaggi di spie moderne e post, dentro nuove forme del male come i protagonisti di Mostri che ridono.

Si tratta di un duo di aridi avventurieri, Nair e Adriko, che un tempo al cinema avrebbero avuto i volti di Charles Bronson o Lee Marvin ma oggi anche di un nero o di un meticcio che ha imparato la lezione. Nel mondo d’oggi, il male vince sempre sul bene e si può sempre ricavarne un utile.

Questa rubrica è stata pubblicata l’11 novembre 2016 a pagina 86 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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