03 dicembre 2016 18:38

Paolo Cognetti, Le otto montagne
Einaudi, 200 pagine, 18,50 euro

Da tempo Cognetti, una delle giovani speranze di inizio secolo, ha scelto di vivere in montagna e alla montagna dedica un romanzo maturo e avvincente, dove l’io si scioglie in una costruzione che ha grandi modelli e recupera la nostra migliore tradizione.

Diviso in tre parti, parla di un figlio e delle difficoltà con il padre (che sono forse eterne) per una reciproca accettazione, di un ragazzo nato in città e del suo amico montanaro che diventa come e più di un fratello, della loro maturazione e delle loro difficoltà, vittorie e sconfitte.Il racconto si snoda in tre momenti scanditi dal loro diverso rapporto con la montagna, le Alpi ma per il narratore anche il Tibet, dove un vecchio nepalese gli parla di un monte altissimo al centro del mondo e delle otto montagne e otto mari che lo circondano. Pietro, il narratore, è un inquieto e Bruno è il contrario, ma “avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?”. Non meno densi sono i personaggi femminili, ma il romanzo tuttavia è al maschile.

Le parole dicono i sentimenti ma si fanno materia e azione, descrivono lavori e opere, seguono incontri e maturazioni, illusioni e delusioni, e narrano la natura con la profondità e la sincerità di un classico, in una storia di formazione che ci sembra esemplare, in tempi di morali approssimative.

Questa rubrica è stata pubblicata il 25 novembre 2016 a pagina 90 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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