08 aprile 2017 18:00

Urs Widmer, Il libro di mio padre
Keller, 222 pagine, 15,50 euro

È la storia di una contrastata giovinezza europea di ieri, dentro grandi scontri e paure, ma ancora idealista e audace. È una storia che oggi sarebbe quasi impensabile. Non è una “lettera al padre” rivendicativa ed edipica, ma un romanzo che trasfigura personaggi reali. Figlio di un traduttore e studioso, lo svizzero Widmer scrive al posto del padre, e ne ricostruisce la vita in modi vivaci e gloriosi che scivolano a volte nella kermesse e nel fantastico (il bellissimo capitolo sull’iniziazione all’età adulta in un paese montano) e nella commedia, pur trattando di anni difficili come i trenta del novecento, la guerra e il dopoguerra.

L’inizio: “Mio padre era un comunista. Non era sempre stato comunista, certo che no, e quando morì non lo era più”. Dopo il 1950 “la sua indignazione travalicò i confini del partito e investì tutti i politici indistintamente, o quasi tutti. Rintronati! Cretini! Assassini!”. Fitto di personaggi del mondo delle avanguardie letterarie e pittoriche, ricostruisce un’epoca giostrando nei modi di una scrittura libera, ora intima e ora allegra e rifulgente, al centro una coppia di cui si dicono anche pene e disgrazie, ché una bara è pronta, nei vecchi villaggi, fin dalla nascita. La traduzione di Roberta Gado, una prosa magnifica, sembra rendere giustizia a uno scrittore ben noto, tranne che in Italia.

Questa rubrica è stata pubblicata il 7 aprile 2017 a pagina 96 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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