29 giugno 2016 15:10

Caro Guido,
annoto tutti i miei libri a penna, come fossero taccuini: è un bisogno che sento fin dall’adolescenza, e di cui ho preso pienamente coscienza leggendo Stussi e Timpanaro durante i miei anni pisani. La mia compagna normalienne vive molto male questo mio vezzo: rifiuta di leggere i libri da me annotati, e manifesta esplicitamente il suo disaccordo ogni volta che mi vede scrivere su un libro. Ho cercato finora di trattenermi, perlomeno in sua presenza, ma adesso sto rileggendo Sade in Pléiade e davvero non so come fare, il desiderio di scriverci sopra è troppo forte. Pensavo di ricomprarne un secondo esemplare da leggere e annotare di nascosto, ma la vedo un po’, per la nostra coppia, come una sconfitta. Mi sono rassegnato ormai davanti al suo rifiuto di condividere questo mio bisogno, ma non ho voglia di nascondermi né di ricomprare un esemplare d’ognuna delle mie Pléiade. È una ragazza fantastica, credo di amarla, ma così non posso continuare. Guido, davvero non so cosa fare. Cosa mi consigli?

–Scellero F., Parigi

Caro Scellero,
io credo che il desiderio di scrivere a penna su un volume della Pléiade rientri appieno tra gli impulsi omicidi, e che come tale vada curato nonché, se messo in atto, perseguito dalla legge. È il disagio della civiltà. La mia opinione sul tema la esposi, quando ero ancora un bibliopatologo tirocinante, in un trattatello sulle sottolineature. Ma sono qui per aiutarti, non per processarti; inoltre è probabile che io sia ostaggio di un tabù del tutto irrazionale.

Chic Young, La giornata del sig. Dagoberto, Mondadori, 1976.

Perché sottolineiamo i libri a matita? Perché il grigio della grafite è un colore più tenue, forse, ma soprattutto perché sappiamo che si tratta di un gesto reversibile. Eppure, chi ha mai cancellato le sottolineature? È una possibilità che, nella quasi totalità dei casi, rimane tale. Se, dice Tommaso d’Aquino in una Quaestio quodlibetalis, neppure Dio può restituire la verginità a una giovane e fare come se non l’avesse mai perduta (Utrum Deus possit virginem reparare, V.2.3 – la citava spesso Umberto Eco), cancellare le sottolineature da un libro non farà di esso un libro intonso.

Ecco come Pietro Citati rievocava una visita di Elémire Zolla nella sua casa di campagna:

Era giunto senza libri, con la sua bisaccia da vagabondo. Puntò sulla mia biblioteca come un cane da tartufi; prese negli scaffali Lucano, Macrobio, Mallarmé: in pochi giorni li lesse interamente, lasciandomi pieno di furore: i libri avevano perso la rilegatura, erano stazzonati, pieni di segni a penna, di numeri, di linguette.

Citati non uccise Zolla, perché nella nostra cultura il tabù dell’omicidio è radicato almeno quanto il tabù delle sottolineature a penna sui volumi in papier bible. E poi Zolla era un iniziato, in quanto tale non più sottoposto alla Legge. Per noi profani sulla via della perfezione è più prudente rispettare certi tabù venerandi. Dunque non uccidere, non rubare e fai le tue annotazioni a matita, almeno per il momento.

Quanto alla tua compagna: sposala, metti tutta la Pléiade che credi in lista di nozze ma estorcile un prenuptial agreement in cui accetta di considerarti esclusivo proprietario della pregiata collana. Se ti ama non esiterà a firmare, ancorché normalienne. A ogni modo sono a disposizione per biblioterapia di coppia. Cinque cent, prego.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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