19 agosto 2016 12:47

Gentile bibliopatologo,
il mio vicino di posto in aereo mi ha fatto pensare a lei: ha letto per un’ora e venti, e per l’intera ora e venti ha incessantemente, devotamente – forse anche lussuriosamente? – massaggiato il libro. Muoveva sinuosi i polpastrelli sul retro della copertina, talora con movimenti circolari, talora longitudinali, senza trascurare un centimetro di cellulosa. Ansia.

—F.B., Monza

Cara F.B.,
penserai che voglia prenderla alla larga, ma devi sapere che a un certo punto degli anni ottanta imperversò la moda delle T-shirt con grandi scritte di spugna in rilievo. Risale a quell’epoca l’episodio che negli annali della mia adolescenza è ricordato come “lo schiaffo del Circeo”.

Avevo sì e no tredici anni, era agosto, ero al mare, e passavo il grosso delle mie giornate in compagnia di un amico che, come me, era una pentola a pressione ormonale e, come me, aveva la disgrazia di essere uncool before uncool was cool. E insomma, c’era questa ragazzina decisamente prosperosa che era al centro delle nostre fantasie, e che indossava proprio una di quelle magliette pacchiane con la scritta in rilievo. Era ai nostri occhi una creatura mitologica, una Circe inaccessibile, un miraggio; ma il mio amico, più intraprendente di me e forse rincuorato dall’idea che eravamo pur sempre in territorio di Ulisse, si lasciò accecare dalla hybris e volle sfidare gli dèi con una trovata ingegnosa. Si avvicinò alla ragazzina, passò una mano lungo tutta la scritta – che era collocata, neppure a dirlo, all’altezza del seno – e le disse: “Volevo controllare se era in braille”. Impresa temeraria, che poteva finire con una grande risata o con uno schiaffone. Dal nome con cui è stato tramandato l’aneddoto puoi intuire come andò a finire.

Fantasia dantesca

A proposito: il tuo vicino di posto aveva per caso degli occhiali molto scuri e un cane? No? Bene, se escludiamo l’ipotesi braille, direi che ci sono due vie per provare a spiegare le conturbanti abitudini di lettura dell’individuo in questione, partendo dalle parole che tu stessa hai scelto per descriverlo. Devoto e lussurioso: è una coppia di aggettivi che si addice bene a un feticista.

Charles Asselineau, nella fantasia dantesca L’enfer du bibliophile (1862), invita a commiserare i veneratori di libri e le loro incontinenze erotiche: “Osservateli, questi piluccatori di frutti proibiti, interrogate i loro occhi nel momento del godimento, e ditemi se non c’è nel loro sguardo qualcosa della passione del giocatore e della ferocia del libertino!”. Il caso più infernale, e a me più caro, è quello del pastore protestante Johann Georg Tinius, che dall’odore delle pagine sapeva risalire al luogo di stampa di un libro e che uccise un bel po’ di gente a colpi di martello per ampliare la sua biblioteca.

Sono storie di due secoli fa, per quanto il girone dei feticisti, degli annusatori, degli stropicciatori e dei sommelier di edizioni antiche sia ancora aperto laggiù (ti segnalo, per i casi più recenti, il volumetto Toccare i libri di Jesús Marchamalo). Ma è ormai piuttosto raro imbattersi in uno di questi dannati e soprattutto è difficile riconoscerli, perché le loro perversioni sono mimetizzate in abitudini più innocue e più diffuse.

Il sensorio umano

E qui veniamo alla tua seconda parola rivelatrice. Dici che il tuo compagno di viaggio massaggiava il libro, e questo mi ha ricordato un oggetto così strano che si fatica a chiamarlo libro. Si intitolava The medium is the massage, e lo creò Marshall McLuhan giocando sulla sua formula più nota, “il medium è il messaggio”. Più che un libro era un ready-made, un assemblaggio dadaista di immagini e parole concepito insieme al graphic designer Quentin Fiore, un gadget di cui si poteva fare qualunque uso, decoroso o meno: perfino leggerlo. Uscì nel 1967, lo stesso anno di Sgt. Pepper’s – e si vede. Non starò a farti il bignami delle idee di McLuhan (neppure lui ci riuscì mai, malgrado i molti tentativi).

Dal libro The medium is the massage di Marshall McLuhan e Quentin Fiore, Penguin 1967.

Basterà dire che quel massage del titolo alludeva al modo in cui i media elettronici “massaggiano” il sensorio umano. Il libro stampato è per molti un medium frustrante, perché si rivolge a un unico senso, la vista, lasciando inoperosi gli altri. E invece – basta guardarsi intorno, in spiaggia, nelle ville, sui treni, sugli aerei – sono sempre più numerosi i lettori e le lettrici che hanno con i libri un approccio, per usare la formula freudiana, “perverso polimorfo” (ora che ci penso, anche al mio amico del Circeo non bastava percorrere freddamente con gli occhi la scritta: voleva integrare con il tatto la sua esperienza di lettore; era la ragazzina che non ne aveva tanta voglia, semmai).

È strano pensare che i bibliomani più lubrici e tenebrosi dei secoli passati, che possono apparirci come i vertici eroici dell’epoca gutenberghiana, fossero anche gli araldi del suo superamento; che la loro morbosa insistenza nel chiedere ai libri di essere qualcosa più che libri, ossia oggetti del desiderio e feticci sensuali, avrebbe trovato consacrazione in un’epoca di lettori-massaggiatori. Ma così funziona la dialettica. D’altronde la parola del titolo di McLuhan – grande ammiratore di Joyce e dei suoi pun stratificati – si poteva leggere anche come mass age: età di massa.

Fin qui la teoria. Ma la prossima volta, per prudenza, chiedi alla hostess di spostarti il più lontano possibile da individui del genere, e soprattutto non indossare per nessuna ragione T-shirt con scritte in rilievo. Mi raccomando.

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