14 settembre 2016 16:17

Gentile bibliopatologo,
forse a causa di un antico trauma natalizio (era il 1995 e mi fu regalato un libro di Bruno Vespa) ho un problema con le copertine dei libri. Ho innanzitutto una forte diffidenza per quelle in cui il nome dell’autore è scritto in caratteri grandi il doppio rispetto al titolo. La diffidenza si tramuta in idiosincrasia quando in copertina compare pure la foto dell’autore. Ovviamente, fanno eccezione i classici: per quelli tollero il carattere cubitale e anche la foto. Lei capisce che, a seguito di tale patologia, sono molto selettivo nella scelta dei libri, e in questi ultimi due decenni ho evitato come la peste non soltanto le autobiografie di personaggi famosi e le pagine firmate da gente che sta in tv, ma pure alcuni autori affermati in tutto il mondo. Ogni tanto penso: e se mi perdessi qualcosa di interessante?
— Feliciano Bechelli, Lucca

Caro Feliciano,
la questione è semplice, si tratta di scegliere tra la Scuola di Francoforte e la Scuola di Frank-N-Furter, che non è un misconosciuto filosofo tedesco rivale di Adorno ma il “dolce travestito” del Rocky horror picture show. Era lui, se ricordi, a cantare “don’t judge a book by its cover” alla coppia di sposini smarriti – salvo, un attimo dopo, sfilarsi la lugubre cappa gotica e rivelare un corsetto nero cosparso di lustrini, due guanti lunghi fino al gomito, un girocollo di perle giganti e poi giarrettiere, calze a rete e tacchi alti.

La prima volta che ho fatto attenzione a quella frase, quindici anni fa, ero nelle condizioni ideali per saggiarne tutte le sfumature di stupidità. Ero alla Waldbühne di Berlino, dove proiettavano appunto il Rocky horror, e per mimetizzarmi tra i dark tedeschi mi ero vestito da capo a piedi di nero; e ti dico che avrebbero fatto bene a giudicarmi dalla copertina, e magari anche a pestarmi come bulli, perché malgrado i miei sforzi di oltrepassare la linea gotica dell’abbigliamento sembravo un tragico incrocio tra un mimo parigino e Totò diabolicus.

Rocky horror picture show.

La verità – lo dice il ben più autorevole Manuel Fantoni di Borotalco – è che l’abito fa il monaco. Non solo si può giudicare un libro dalla copertina: lo si deve fare, tanto più che la fonte originaria di quel luogo comune non è neppure un messia erotico venuto dalla Transilvania transessuale, è un mugnaio dell’Ottocento, il signor Tulliver del Mulino sulla Floss di George Eliot, che comprava i libri in blocco nella convinzione ottusa che, avendo la stessa rilegatura, dovessero essere tutti buoni libri – “but it seems you mustn’t judge by th’outside”. Lo si deve fare, e nei miei anni di tirocinio da bibliopatologo l’ho fatto più di una volta con grande soddisfazione, ragionando secondo i casi sul progetto grafico o sulle foto degli autori.

Non conosco un solo esempio di libro che abbia smentito gli orrori annunciati dalla sua veste esteriore, e anche se non nego che in linea di principio possa esistere, la nostra vita di lettori è troppo breve per dar la caccia ai cigni neri. Ti sei perso qualcosa? Pazienza. Anni fa, componendo un rudimentale inventario dei luoghi comuni sui libri e la lettura, dove ovviamente era incluso l’assioma di Tulliver/Frank-N-Furter, avevo immaginato un esperimento, che a questo punto ti prescrivo con tanto di ricetta medica: entra in una grande libreria e lanciati in una corsa forsennata, un po’ come i tre balordi di Bande à part per le sale del Louvre, gettando rapide occhiate ai banchi delle novità per indovinare quali libri non meritano sicuramente di essere letti. Poi, se non ti hanno arrestato e messo in ceppi nelle segrete della libreria, torna sui tuoi passi e verifica la correttezza delle tue prime impressioni. Ti accorgerai che il colpo d’occhio è infallibile, che devi fidarti del tuo buon istinto, che non devi combatterlo ma affinarlo e irrobustirlo.

Inutile dirti che il principio inverso non vale, e che è sempre più frequente imbattersi in libri raccapriccianti vestiti come Salomone in tutta la sua gloria. Ma mi fermo qui, perché rischierei di farti una geremiade da francofortese della domenica, e di sospirare sulle sorti miserevoli di editori un tempo illustri che, al pari di aristocratici decaduti, cercano di salvare le apparenze del prestigio impacchettando tra le copertine di collane storiche libri che avrebbero fatto rizzare i capelli in testa al buon Adorno; se solo ce li avesse avuti, i capelli.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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