26 ottobre 2016 15:54

Gentile bibliopatologo,
le scrivo perché ho un problema che mi affligge da tempo e un senso di colpa da cui non riesco a liberarmi. Laureata in lettere, ho di recente terminato un dottorato in letteratura italiana. Eppure io… Devo dirlo, le scrivo per questo no? Per buttar fuori l’imbarazzante nevrosi. Io odio la letteratura. Non riesco a leggere i romanzi. Ne leggo pochi, pochissimi. Li leggo male. Non riesco a confessare il numero di quelli che ho lasciato a metà. La prego di non chiedermi di dire pubblicamente quanti must read non ho nemmeno mai aperto. La mia cura è questa: saggistica, bibliografia secondaria, critica e teoria letteraria. Bibliografia primaria? Ah, l’orrore! Solo pochi intimi conoscono la mia patologica avversione. Molti sono stati sul punto di scoprirla, ma riesco a fingere bene e a parlare con perizia di libri di cui niente conosco, tutto ignoro. La prego di aiutarmi, non voglio più nascondermi.

—Anonima lombarda

Cara Anonima lombarda,
ricordi com’è che Zelig diventa Zelig? Si vergogna a confessare che non ha mai letto Moby Dick, e così comincia a fingere per mimetizzarsi nella compagnia dei colti. Non è poi così difficile, e qualche anno fa Pierre Bayard ha composto un piccolo manuale di millanteria, Come parlare di un libro senza averlo mai letto, che potrebbe aiutarti a perfezionare la tua arte. Immagino infatti che ti toccherà tener su la messinscena a vita, per proteggere la tua reputazione di studiosa e anche perché, se un giorno ti scoprissero davvero, potresti esser costretta a compiere una grande carneficina di parenti, amici e soprattutto colleghi, sul modello di L’avversario di Emmanuel Carrère (non è uno spoiler, sta scritto anche nel risvolto di copertina: ma tanto non lo leggerai, è un romanzo).

Dormi pure sonni tranquilli, non ti scopriranno mai, anche perché una delle leggi non scritte del galateo culturale raccomanda di non indagare troppo a fondo sulle lacune altrui, per timore che s’indaghi sulle nostre. Vale per l’università e vale per l’editoria, come mostra questa vecchia vignetta del New Yorker.

L’intossicazione di letteratura secondaria è una tipica malattia accademica, che ho contratto anch’io. Nelle prime pagine di Vere presenze, George Steiner descriveva una società utopica resa immune da questo male:

Immaginate una società dove sia vietata ogni discussione che verte sulle arti, sulla musica e sulla letteratura. In questa società ogni discorso orale o scritto sui libri, sui quadri o sui componimenti seri è bollato come chiacchiericcio illecito (…). La mia è l’immagine inversa della Repubblica di Platone, una città dove il recensore e il critico sarebbero messi al bando: una repubblica per scrittori e lettori.

In una città del genere, cara Anonima lombarda, saremmo spacciati. Steiner scriveva tutto questo nell’epicentro del contagio di quello che è stato l’equivalente accademico della peste nera – il dilagare di poststrutturalismo, decostruzionismo e altre infestazioni gergali – e sognava di liberarsi dal ronzio della letteratura parassitica che “protegge il nostro sonnambulismo dall’illuminazione, spesso violenta e imperiosa, della pura presenza”.

Leggere romanzi (e goderne) non è facile, per chi si sia esercitato troppo a lungo a non sospendere l’incredulità ma, al contrario, a coltivarla con tenacia. Ricorda però – lo saprai meglio di me: sono i tuoi studi – che Coleridge parlava di willing suspension of disbelief, e quel willing viene spesso omesso (per quel che conta, la voce di Wikipedia dedicata al tema considera quell’aggettivo “ridondante” – ridondante!).

La sospensione dell’incredulità dev’essere volontaria. La vuoi? Devi faticare un po’. Perdona se sono così naïf, ma dieci anni fa, quando è nato il mio primo nipotino, ho fatto un’incredibile scoperta dell’acqua calda: addormentarsi è una cosa che si impara. Il poveretto starnazzava come un antifurto, e dovevo cullarlo per ore al suono di Bob Marley, l’unica cosa in grado di narcotizzarlo. Ecco, tu probabilmente hai disimparato ad addormentarti o, fuor di metafora, ad abbandonarti alla letteratura d’invenzione.

Il problema nasce spesso dalla contiguità tra le letture fatte per studio, in attitudine da “maestra del sospetto”, e quelle fatte per piacere. Devi spezzare il vincolo. Piccolo esercizio senza pretese: ricrea la repubblica ideale di Steiner per un giorno a settimana. Niente bibliografia secondaria, niente critica, niente teoria letteraria dalla sera prima, come per prepararti a un esame medico. Poi, al risveglio, solo romanzi e racconti, magari ripartendo da quei must read al cui potere incantatorio è difficile resistere – Dickens, Dumas, Stephen King, fai tu. Davanti a te, come santino o come mandala, tieni sempre questa magnifica foto. È Patti Smith che dorme profondamente leggendo Finnegans wake.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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