09 dicembre 2016 16:01

Caro dottore,
sono una dottoranda di ventisette anni e le mie ricerche riguardano alcuni aspetti del colonialismo fascista. Mesi fa mi sono imbattuta nel mare magnum dei romanzi coloniali italiani e mi sono resa conto di aver sviluppato una passione insana. La ragione di questa sciagurata perversione è che si tratta di romanzi bruttissimi. Nutro da sempre un certo interesse per il trash. Sono a caccia di orribili video musicali e film di pessima qualità. Adoro esaminarli e smontarli, un po’ come fanno i bambini con i giocattoli. Con la letteratura coloniale, tuttavia, ho scoperto che l’Italia ha toccato vertici irraggiungibili di trash dei quali non riesco più a fare a meno. Che mi prende?

—Monica P.

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Caro dottore,
ho ventiquattro anni, non sono mai stata una lettrice accanita, e le mie letture di piacere si limitano a un paio di libri all’anno. Il problema non è solo nella quantità (assai scarsa) ma soprattutto nella qualità; da quando fui introdotta forzatamente, grazie alla mia odiata professoressa del liceo, ai classici della letteratura, sono rimasta chiusa in un vortice di presunzione letteraria da cui non sono capace di uscire. Provo letteralmente repulsione per qualsiasi libro di letteratura moderna. Vorrei tanto cimentarmi in letture più varie, ma la mia mente mi indirizza ai libri senza tempo che so per certo non mi deluderanno.

—Francesca Parolaro, Valencia

Care Monica e Francesca,
questa rubrica mi sta trasformando in un ipocondriaco, e ormai ho il terrore di riaprire il Piccolo dizionario delle malattie letterarie di Marco Rossari, neppure fosse il vaso di Pandora. Ogni settimana leggo le vostre lettere e mi convinco di avere tutti i sintomi, anche quelli che si contraddicono o che si elidono a vicenda. Come Francesca, leggo soprattutto i classici, sfogliando appena i moderni; come Monica, ho un’attrazione morbosa per il trash, parola oggi un po’ fuori moda che ebbe il suo momento di gloria vent’anni fa. Me ne incapricciai nel 1994, primo anno di università, quando uscirono Spazzatura di Giuseppe Salza e, pochi mesi dopo, Andy Warhol era un coatto di Tommaso Labranca. A pensarci bene, i due sintomi non si escludono affatto. Anzi, la loro combinazione forma il quadro diagnostico di una detestabile bibliopatologia: lo snobismo di chi si trova a proprio agio solo nei superattici o nelle fogne, tutto pur di non calpestare le stesse strade dei suoi contemporanei.

Per vostra fortuna, presi singolarmente i sintomi non hanno nulla di patologico. Scoppiate di salute, voi due! Francesca, ti auguro di vivere cent’anni; calcolando che puoi leggere due libri all’anno, questo ti lascia ancora un capitale di circa centocinquanta libri: fai benissimo a leggere soltanto i classici, e a sceglierli con cura, anzi fossi in te procederei per piani quinquennali alla maniera sovietica. Monica, le discariche culturali – a patto di non starci così a lungo da intossicarsi – sono un luogo preziosissimo dove frugare se si vuole capire che genere di roba consumano i signori che abitano nelle case borghesi. La celebre definizione di Labranca, secondo cui il trash sarebbe l’“emulazione fallita di un modello alto”, indica il sentiero. Perché l’emulazione fallita è ben più impietosa della parodia. Bertolucci aveva paura di vedere Ultimo tango a Zagarolo con Franco e Ciccio, ma lì quanto meno a indorare la pillola c’era l’ammiccamento dell’ironia. Invece l’emulazione fallita rivela crudelmente, dietro le sue miserie, tutte le miserie del modello. Prova a vedere un filmaccio come Le lunghe notti della Gestapo, e non riuscirai più a prendere sul serio La caduta degli dèi di Luchino Visconti.

Ora, io non so quale sia il modello alto che il romanzo coloniale fascista tenta malamente di emulare. Ma temo che il tuo campo di studi tornerà molto utile negli anni a venire. Non dico che si vedano in giro bonifiche dell’Agro Pontino o scene con il duce che trebbia il grano, ma – già che siamo in tema di trash – in questi giorni la sindaca di Roma e la sua assessora all’ambiente sbucano di notte dai cassonetti per controllare che i cittadini facciano bene la differenziata. Lo chiamano “spazzatour”. Speriamo sia un caso di emulazione fallita.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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