01 febbraio 2017 16:10

Caro bibliopatologo,
ho capito di avere anch’io una lieve patologia riguardo i libri che leggo, soprattutto quelli che so già mi invoglieranno a non terminarli facilmente, proprio per l’adorazione continua che suscitano le loro frasi. Ritardatrice romantica dell’amplesso nel finale, oserei dedurre. Faccio in modo di protrarre la lettura il più possibile, gustando lentamente e non voracemente la mia preda letteraria. Assaporo le parole e gli aromi che mi trasmettono, accantonandole, riprendendole, evidenziandole. Insomma, prolungo un’agonia di solo piacere, con la speranza che non finisca mai. È grave?

–Senza fine

Cara Senza fine,
per molti anni, la mattina della Befana mia sorella e io abbiamo trovato sul letto, al risveglio, calze di dolciumi perfettamente identiche – non escludo che mia madre le pesasse con un bilancino da farmacista, nel timore che una differenza di qualche microgrammo scatenasse faide familiari e ci facesse finire tutti in un plastico di Bruno Vespa. Verso mezzogiorno del 6 gennaio – ora più, ora meno – la mia calza era praticamente già vuota; quella di mia sorella poteva durare fino a marzo, spesso ben oltre la data di scadenza dei cioccolatini o addirittura a un passo dalla decomposizione chimica.

La grande divisione antropologica tra i degustatori e i voraci è una faglia profonda che attraversa tutte le attività umane, e oggi molte coppie rischiano la rottura o guai peggiori per i modi diversi di guardare le serie tv: è impossibile tenere insieme un maratoneta del binge watching e una centellinatrice, e penso che la legge dovrebbe tenerne conto, includendo questa diversa disposizione nella lista degli impedimenti matrimoniali.

Bene, ora mandiamo a letto i bambini ed entriamo in fascia protetta, perché la seconda parte della mia risposta non è adatta a un pubblico di minori. Ti definisci una “ritardatrice romantica”, ma non credo sia la formula più adeguata. Direi piuttosto che, come lettrice, sei quella che Freud avrebbe chiamato una “perversa polimorfa”: cerchi il piacere in sé, usando tutti i canali sensoriali che hai a disposizione. Non punti all’orgasmo – il cui corrispettivo letterario potrebbe essere il climax narrativo, il colpo di scena melodrammatico, la rivelazione dell’assassino, l’uccisione catartica del mostro, il suicidio dell’eroina – ma ti attardi in quelli che si è soliti chiamare preliminari. Questa parola si porta dietro molti equivoci, tutti ereditati da una visione orgasmocentrica che la cosiddetta sinistra freudiana si impegnò a smantellare, da Norman Brown (che lo fece bene) a Herbert Marcuse (che lo fece peggio). Se c’è un limine, tuttavia, lo si può intendere tanto come soglia d’ingresso che come soglia d’uscita; e il tuo mi pare il secondo caso.

L’etichetta freudiana di “perverso polimorfo” riguardava lo sviluppo psicosessuale dei bambini (ora possiamo dirlo, tanto dormono), perché per un medico della borghesia viennese di primo novecento era naturale credere che la maturazione coincidesse con la concentrazione sulla zona genitale, in vista del sommo bene della riproduzione. Il giardino delle delizie sensoriali dell’infanzia doveva chiudere i battenti, sopravvivendo come reminiscenza sbiadita nei preliminari: ennesimo prezzo da pagare al disagio della civiltà. O, nelle parole più eleganti di un contemporaneo di Freud, Robert Musil: “Il prato di tenerezza nel quale avevamo giocato fino a quel momento viene falciato e se ne ricava foraggio per un particolare istinto”.

Non esistono, grazie al cielo, stadi dello sviluppo psicosessuale del lettore. Ma potresti affinare la tua arte, trasformandoti da lettrice “perversa polimorfa” in lettrice tantrica. La tradizione della magia sessuale è materia troppo vasta per dirne, in due righe, qualcosa di meglio che banalità (ti consiglio, come introduzione, Il cammino del serpente di Francis King); ma una delle tecniche più antiche e diffuse – nell’India tantrica, nella Cina taoista, in alcune scuole gnostiche – è quella del cosiddetto coitus reservatus, che consiste nel mantenersi in uno stato di eccitazione prolungato senza mai raggiungere l’orgasmo. Senza fine, appunto.

Si può ottenere qualcosa di simile con i libri? Certo che si può, ed esiste un’opera che sta alla letteratura come il Tantraloka di Abhinavagupta alla magia sessuale: parlo del Finnegans Wake di James Joyce – il quale, non a caso, sognava un lettore affetto da un’insonnia ideale. Non puoi finirlo, perché non ha fine; non puoi divorarlo, perché ogni parola è fatta per essere rimuginata senza sosta; non puoi fare preliminari, perché la soglia è ovunque e in nessun luogo; e puoi mantenerti per ore in uno stato di eccitazione intellettuale che dalla mente si estende a tutti i sensi, percorrendo a ritroso la colonna vertebrale come in un esercizio tantrico capovolto. Mentre ti diverti a leggerlo – ossia per il resto dei tuoi giorni – puoi concederti tutti gli altri romanzi di cui ti incapricci, facendo pace con la loro finitudine. E dimenticavo, ora puoi svegliare i bambini.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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