07 luglio 2015 11:47

In teoria le cose potrebbero ancora risolversi. Servono solo tre miracoli.

Forse il clamoroso no dei greci alle condizioni della zona euro per un terzo salvataggio (i voti contrari sono stati più del 61 per cento) obbligherà i veri amministratori dell’euro, la Germania e la Francia, a rivedere la loro posizione. Il presidente francese François Hollande sta già sostenendo una ripresa dei negoziati con la Grecia.

Forse il Fondo monetario internazionale (Fmi) solleciterà pubblicamente i leader della zona euro a cancellare una parte dello schiacciante carico di debiti della Grecia. Giovedì scorso l’Fmi ha pubblicato un rapporto in cui sosteneva che la Grecia aveva bisogno di altri cinquanta miliardi di euro spalmati su un periodo di tre anni per risanare il debito esistente, e che sarebbe giusto concederle un periodo di grazia di vent’anni prima che ricominci a rimborsare i suoi debiti. Ma anche in tal caso, afferma il rapporto, il debito della Grecia resterebbe insostenibile.

E forse il primo ministro greco Alexis Tsipras accetterà quelle stesse condizioni che ha chiesto agli elettori greci di rifiutare nel referendum, qualora riuscisse a ottenere dalle autorità della zona euro e dall’Fmi un impegno sulla riduzione di una parte importante del debito, diciamo intorno ai cento miliardi di euro, circa un terzo del debito totale della Grecia. Teoricamente è tutto possibile. Sarebbe anche una cosa sensata. Ma bisognerebbe che tutte le parti coinvolte si comportassero in modo radicalmente diverso.

La verità è che il 90 per cento dei prestiti che la Grecia ha ricevuto dalla zona euro è direttamente impiegato per rimborsare le banche europee.

Tsipras ha già compiuto un gesto significativo: la mattina dopo la vittoria al referendum ha scaricato il suo esuberante ministro delle finanze, Yanis Varoufakis. Il combattivo Varoufakis si era inutilmente alienato, con i suoi ripetuti insulti, le simpatie di tutti gli altri ministri delle finanze dell’eurozona. Era difficile immaginarselo seduto nuovamente accanto ai suoi colleghi dopo averli chiamati “terroristi” durante la campagna per il referendum.

Il gesto dell’Fmi è stato ancor più significativo, anche se molto tardivo. Sapeva che la strategia dell’Europa era sbagliata fin dai tempi del primo salvataggio nel 2010, e si sta finalmente decidendo ad ammetterlo.

Di solito quando l’Fmi procede al salvataggio di un paese sommerso dai debiti si concentra su quattro elementi. Ci sono sempre il consolidamento fiscale (tagliare le spese, riscuotere tutte le tasse, far quadrare il bilancio) e le “riforme strutturali” (rendere il mercato del lavoro più flessibile, eliminare i sussidi e così via). Tutte le attuali trattative tra Grecia ed eurozona hanno toccato questi argomenti. Ma di solito il pacchetto dell’Fmi include anche la svalutazione e l’alleggerimento del debito.

Il salvataggio del 2010 non prevedeva alcun alleggerimento del debito, e nel 2012, durante il secondo salvataggio, solo ai creditori del settore privato è stato imposto un “haircut” (del 30 per cento circa). La maggior parte del debito greco era stato contratto con banche tedesche e francesi, e non è stato toccato. La verità è che il 90 per cento dei prestiti che la Grecia ha ricevuto dalla zona euro è direttamente impiegato per rimborsare le banche europee.

Il debito della Grecia non è ridotto da tali transazioni: è semplicemente trasferito agli organismi ufficiali europei come la Banca centrale europea. I greci, quindi, non ricevono alcun aiuto significativo, e sono i contribuenti europei a pagare per salvare le banche europee.

Per quale motivo l’Fmi non ha denunciato questa situazione molto tempo fa? Perché non guidava questi negoziati e si sentiva peraltro profondamente imbarazzato per aver partecipato al salvataggio del 2010. Aveva violato le sue stesse regole e faceva fatica ad ammetterlo. Sapeva anche che la svalutazione, solitamente una parte cruciale dei salvataggi dell’Fmi, è impossibile nel caso della Grecia a meno che questa non esca dall’euro (cosa che i greci non vogliono assolutamente fare).

Per questo la ripresa economica che di solito fa seguito a un salvataggio non c’è stata. Nell’arco di cinque anni il debito della Grecia è aumentato del 50 per cento, la sua economia si è contratta del 25 per cento e la disoccupazione è salita al 25 per cento (50 per cento tra i giovani). Il quesito del referendum era volutamente oscuro, ma la maggioranza dei greci sa che l’attuale approccio non sta proprio funzionando. È per questo che hanno votato no al referendum. Ed è stata una scelta valida.

Se le autorità dell’eurozona sanno che una grossa parte del debito greco non potrà mai essere ripagato (e lo sanno), perché semplicemente non concedono alla Grecia l’alleggerimento del debito di cui ha bisogno? In parte perché la cancelliera tedesca Angela Merkel sa che i suoi elettori in Germania si infurierebbero di fronte a un’ulteriore “beneficenza” finanziata dalle loro tasse, mentre rimangono piuttosto calmi finché il debito è ancora nei libri contabili. E in parte perché gli altri paesi dell’eurozona lo considererebbero un trattamento di favore nei confronti della Grecia.

Anche Italia, Spagna, Portogallo e Irlanda hanno subìto duri programmi di salvataggio e stanno ancora pagando sui loro debiti interessi che in proporzione sono più alti di quelli della Grecia. Altri paesi dell’eurozona, come Estonia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia, hanno all’incirca lo stesso pil pro capite della Grecia, mentre quello della Lettonia è anche più basso. Non capiscono perché dovrebbero pagare per la follia con cui la Grecia ha accumulato debiti così enormi.

Per questo non è davvero possibile prevedere se Tsipras e la Grecia riceveranno l’offerta di accordo migliore oppure no. Allo stesso modo è impossibile dire cosa accadrà alla “moneta unica” europea se non si raggiungesse un accordo e la Grecia fosse buttata fuori dall’euro nelle prossime due settimane, sebbene le autorità dell’eurozona insistano nel dire che sarebbero in grado di superare la tempesta.

Viviamo proprio in un’epoca interessante.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it