25 novembre 2015 14:44

Per pura coincidenza, il mio libro Don’t panic: Islamic state, terrorism and today’s Middle East (Niente panico: lo Stato islamico, il terrorismo e il Medio Oriente odierno) è uscito appena prima degli attentati terroristici di Parigi. E quindi, naturalmente, tutti quelli che mi hanno intervistato a proposito del libro mi hanno chiesto se ora non fosse venuto davvero il momento di farsi prendere dal panico. Non hanno resistito. E naturalmente ho risposto che no, non è il momento di avere paura.

Se un treno deragliasse nella metropolitana di Parigi, uccidendo 130 persone e ferendone più di trecento, la notizia dominerebbe l’attualità francese per 24, al massimo 48 ore. In altri paesi sarebbe sicuramente una notizia di un giorno: l’ennesimo incidente in un mondo in cui, di tanto in tanto, i treni si scontrano, gli aerei si schiantano e le navi affondano.

Ma quando non si tratta di un incidente, se sono cioè degli esseri umani a provocare volontariamente quelle morti, allora i mezzi d’informazione cominciano ad amplificare a dismisura la notizia. L’evento riceve una copertura venti volte maggiore e può dominare i palinsesti dei notiziari per giorni e giorni. La gran parte delle persone – in Europa, in Nordamerica e in Medio Oriente – ha visto almeno qualche ora di trasmissioni relative agli eventi di Parigi e alle loro conseguenze, e anche in aree più distanti del mondo si è trattato del fatto della settimana.

Non c’è da sorprendersi. È normale che le persone siano più interessate a degli omicidi che a dei guasti meccanici. Ma l’impressionante copertura giornalistica sembra trasformare un attentato terroristico in un evento più grande di quanto non sia in realtà. Anche quando si vive molto lontano da dove si svolgono i fatti.

Se vivi in Siria, la minaccia non è solo il terrorismo. Il gruppo Stato islamico (Is) è già una minaccia per i molti siriani che prende di mira (sciiti, cristiani, drusi e anche quei musulmani sunniti che hanno lavorato per il governo o combattuto nell’esercito). Se l’Is ottenesse il controllo di tutto il paese, il numero di rifugiati siriani raddoppierebbe o triplicherebbe.

Se vivi in Iraq corri meno rischi, dal momento che l’Is ha poche speranze di espandersi nelle zone del paese a maggioranza sciita che sono ancora sotto il controllo di Baghdad, o nelle aree controllate dai curdi.

Se vivi in Turchia o in altri paesi arabi – anzi, a dire il vero in qualsiasi altro paese musulmano – è possibile che tu debba affrontare una grave minaccia proveniente da terroristi cresciuti nel tuo paese, i quali però riceveranno dall’Is solo incoraggiamento o al massimo un po’ di addestramento. Si tratta insomma di un problema interno al paese.

Se vivi in Francia, negli Stati Uniti o in Cina, la tua unica preoccupazione è l’attentato terroristico occasionale che può essere stato incoraggiato dall’Is, ma le persone che s’incaricano di effettuarlo sono perlopiù cittadini del paese colpito. E le misure con cui si cerca di arginare questo genere di cose sono le stesse di sempre in caso di minaccia terroristica: controlli alle frontiere, misure di sicurezza rafforzate negli eventi pubblici e una buona intelligence.

Gli unici che stanno combattendo l’Is sul terreno sono i curdi e quanto rimane dell’esercito siriano

Se le forze aeree occidentali vorranno bombardare l’Is, lo faranno, ma si troveranno a farlo da sole. Gli stati arabi che in teoria fanno parte della “coalizione” guidata dagli Stati Uniti hanno ritirato i loro aerei per bombardare lo Yemen (spinti dall’errata convinzione che le tribù dello Yemen del nord siano in realtà al servizio dell’Iran). Mentre i turchi stanno bombardano quasi unicamente i curdi, inclusi quelli che combattono l’Is.

I bombardamenti russi e della “coalizione” (perlopiù statunitensi) ai danni dell’Is hanno smesso d’intensificarsi, almeno per ora. I recenti attacchi aerei contro i camion-cisterna che trasportano il petrolio destinato al mercato nero hanno sicuramente danneggiato l’economia dell’Is, che però non è certo prossima a crollare.

Per quanto riguarda infine un attacco di terra, scordatevelo. Le uniche persone che stanno combattendo l’Is sul terreno sono i curdi e quanto rimane dell’esercito siriano dopo quattro anni di guerra. L’esercito siriano era sull’orlo del baratro l’estate scorsa, prima che i bombardamenti russi venissero in suo soccorso, e continua a non avere la forza necessaria a riconquistare porzioni significative di territorio. L’Is, quindi, continuerà a esistere per un bel po’.

Rispetto al passato, oggi è ridicolo anche solo parlare di guerra, eppure i paesi occidentali si agitano come polli impauriti

Interrompere gli attacchi aerei occidentali contro l’Is potrebbe evitare alle città occidentali alcuni attentati terroristici, ma non c’è comunque alcuna garanzia. L’Is è in gara con Al Qaeda per ottenere il sostegno delle popolazioni nel mondo islamico e soprattutto arabo, e gli attentati spettacolari sono un efficace strumento di reclutamento. L’Is è inoltre convinto di eseguire un disegno divino e quindi i normali calcoli strategici non valgono più di tanto.

Questo significa che gli attentati terroristici organizzati dall’Is continueranno per mesi, forse anni, indipendentemente da quello che farà l’occidente? È probabile.

I paesi occidentali hanno combattuto vere guerre, il cui ricordo è ancora fresco, che hanno ucciso milioni di loro cittadini, ma non hanno ceduto di fronte alle difficoltà. Le dimensioni della minaccia che hanno di fronte oggi sono talmente inferiori che è ridicolo anche solo parlare di guerra, eppure si agitano come polli impauriti.

Se attacchi terroristici delle dimensioni di quelli parigini sono la principale minaccia che i paesi occidentali devono affrontare, allora sono davvero fortunati.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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