16 agosto 2018 10:20

Cominciamo con le buone notizie. Lo scorso febbraio la Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja ha aperto un’inchiesta sui presunti crimini contro l’umanità commessi dal presidente delle Filippine Rodrigo Duterte nell’ambito della sua “guerra alla droga”.

Adesso quelle cattive. Come prevedibile, Duterte ha risposto che lo statuto di Roma che ha creato la Cpi è “una grande stronzata” e che la Corte è sostenuta solo da “idioti bianchi”. Ha poi annunciato il ritiro delle Filippine dalla Cpi “con effetto immediato”.

In realtà potrebbe non essere in grado di farlo in maniera unilaterale, poiché lo statuto è stato ratificato dal senato delle Filippine e probabilmente deve essere abrogato dallo stesso organismo (le opinioni legali in merito variano). Ma Duterte controlla effettivamente il senato e potrebbe farlo, più avanti, qualora gli interessasse agire nell’ambito della legalità.

Strano carisma politico
Avrebbe comunque problemi legali, perché le Filippine erano soggette al trattato internazionale quando lui ha ordinato molti dei suoi omicidi. Anche se il senato lo cancellasse, il paese rimarrebbe vincolato a esso per un altro anno. Ma nessuno arresterà Duterte oggi, e lui non sembra preoccupato neanche del futuro.

Duterte ha poi avvertito che qualsiasi ispettore dell’Onu si fosse presentato nel paese sarebbe stato arrestato. Avendo risolto la cosa come più gli piaceva, si è poi rimesso a uccidere persone. Le minacce di morte e gli squadroni della morte sono i suoi strumenti politici preferiti e il suo strano carisma politico evaporerebbe se smettesse di uccidere.

Non è peraltro particolarmente schizzinoso sulla scelta dei suoi collaboratori. Dieci mesi fa ha escluso la polizia dalla sua “guerra alla droga” perché è “corrotta fino al midollo” (vero). Ma il numero di omicidi è crollato solo perché il corpo speciale antinarcotici, l’Agenzia di controllo degli stupefacenti delle Filippine, non aveva la manodopera necessaria a mantenere lo stesso ritmo di omicidi.

A maggio, quindi, Duterte ha riammesso la polizia nazionale alle operazioni antidroga. La sua unica concessione alla realtà è stata quella di riunire un centinaio di poliziotti accusati di stupro, rapimento e rapine e di dirgli, dalla televisione nazionale, la scorsa settimana, che anch’essi sarebbero stati giustiziati se non avessero messo la testa a posto. “Se continuerai a comportarti così, figlio di puttana, ti ammazzerò davvero”, ha detto.

Duterte non si lascia quindi influenzare dall’interesse della Cpi per lui, e i suoi massacri proseguono indisturbati. Le statistiche ufficiali parlano di quattromila piccoli spacciatori (ci sono anche casi di scambio d’identità) uccisi. Secondo un rapporto di 77 pagine depositato presso la Cpi dall’avvocato filippino Jude Sabio sono più di ottomila. Eppure il sostegno pubblico alle sue azioni non è molto inferiore a quello registrato durante il suo trionfo elettorale del 2016.

Il senso di una denuncia
Tutti sanno che non c’è alcuna possibilità che Duterte debba rispondere delle proprie azioni di fronte a un tribunale. Anche in futuro, se le circostanze cambiassero, le possibilità che sia processato sono minime. E quindi che senso ha denunciarlo alla Cpi?

Uno dei motivi è che si tratta della prima importante indagine della Cpi che ha per oggetto un regime non africano. C’erano buoni motivi se i casi precedenti riguardavano tutti regimi africani: il continente ospita un terzo dei paesi del mondo, la maggior parte dei suoi dittatori e la maggior parte delle sue guerre. Eppure persino i governi africani competenti e rispettosi della legge cominciavano a sentirsi presi di mira, e il fatto di avere un paese asiatico nella lista può aiutare ad attenuare le tensioni.

Ma più importante è il fatto che la cosa rientra in una più ampia iniziativa volta a riportare lo stato di diritto laddove non è disponibile. A chi possono rivolgersi i singoli cittadini per riuscire a proteggere i propri diritti (compreso quello alla vita) dal governo di uno stato sovrano che non obbedisce alle sue stesse leggi, come quello di Rodrigo Duterte?

Lo sforzo di creare un ordine legale internazionale che protegga i diritti umani è meritevole

Ovviamente quest’iniziativa non sta avendo molto successo al momento. I governi delle grandi potenze rifiutano di permettere a un qualsiasi tribunale sovranazionale di avere giurisdizione sul modo in cui trattano i loro cittadini. E perfino le potenze più piccole non possono essere obbligate ad accettare la giurisdizione della Cpi, che non dispone né di un esercito né di una forza di polizia. Duterte probabilmente non dovrà mai rispondere dei suoi crimini.

Fin qui, niente di sorprendente. In tutto il mondo la maggior parte dei reati resta impunita, e la giustizia universale non esisterà mai. Tuttavia lo sforzo di creare un ordine legale internazionale che protegga i diritti umani è meritevole, e non necessariamente destinato al fallimento.

La Cpi non è stata creata per rovesciare persone come Rodrigo Duterte, che è stato, dopotutto, eletto dai cittadini filippini. La sua reale funzione è indicare una strada legale per punire i membri di un regime criminale dopo il suo crollo e, se possibile, di rendere la successiva resa dei conti legale talmente certa da diventare addirittura un deterrente per i criminali che sono ancora al potere.

La Cpi sta quindi facendo quel che dovrebbe fare, ed è decisamente troppo presto per dire che il suo operato è inutile.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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